Quale dignità? Appunti per la Giornata della donna

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Ultimamente oggetto della nostra preghiera e della nostra riflessione per l’8 marzo è stato una serie di interrogativi: “Quale bellezza?” – “Quale uguaglianza?”. Quest’anno: “Quale dignità?”.

Cosa si intende per dignità? Intendiamo la nobiltà che, per sua natura, ha l’essere dell’uomo e l’essere della donna, indipendentemente da ogni altra variabile. Nobile l’uomo, nobile la donna, ognuno per la sua natura, per il suo essere persona.

Si tratta di una dignità originaria, voluta dal Creatore: l’uomo e la donna sono immagine di Dio, a prescindere dal sesso, dall’età, dalla cultura, dall’attività, etc. È un riconoscimento che non viene dalla concessione di qualcuno o per rivendicazione. È, appunto, dignità originaria.

Dalla creazione in poi è andata via via svalutandosi la dignità della donna, per l’ingresso del peccato nel mondo che ha alterato le relazioni e per lo sviluppo di una cultura di prepotenza e di seduzione. La dignità della donna ha dovuto gradualmente e faticosamente imporsi nel corso dei secoli. Aiuta tornare alla testimonianza dei Vangeli dove è ben visibile l’atteggiamento controcorrente e originale di Gesù verso le donne. Più vicino a noi sono da riprendere le riflessioni della Dottrina Sociale della Chiesa, in particolare la lettera di Giovanni Paolo II Mulieris Dignitatem, come i tanti pronunciamenti di papa Francesco.

Perché una Giornata della donna?

Il fatto che si dedichi una giornata alla donna è anzitutto segno di un faticoso processo ancora in atto; è appello alla conversione, cioè al cambiamento di mentalità e di azione, è desiderio di preghiera col tono della lode per il dono della diversità, col tono della richiesta di perdono per la dignità misconosciuta, col tono della intercessione per tutte le esistenze femminili calpestate.

Riaffermiamo insieme pari dignità per la donna, cioè pari diritti, pari doveri, pari opportunità. Ma questo non significa per la donna, di per sé, fare tutto quello che fa l’uomo dimenticando e mortificando la propria specificità: il femminile, il proprium dell’essere donna, il suo genio sono da riconoscere, valorizzare e promuovere.

C’è un proprium che risplende nella maternità: la donna è chiamata a partorire l’uomo, in senso fisico, ma anche morale, spirituale, culturale; è chiamata ad una maternità biologica, ma anche ad una maternità che è capacità di accogliere e di far crescere.

Tutti riconoscano la dignità della donna, a partire da lei stessa, perché ne abbia una piena consapevolezza. L’uomo, da parte sua, superi lo spirito di dominio; all’inizio non vi era il potere, ma lo stupore: «Oh! Questa sì che è osso delle mie ossa e carne della mia carne» (cfr. Gn 2, 23). L’uomo e la donna sono “uno nella diversità dei due”, e non solo nella sponsalità: creati ad immagine di Dio.

Mons. Andrea Turazzi

Vescovo di San Marino-Montefeltro

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