Fabio Andreini: “Chi non vuole la PA digitale?”

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epaselect epa06998139 A woman interacts with a display of computer games during the press preview of the exhibition 'Videogames: Design/Play/Disrupt' at the V&A Museum in London, Britain, 05 September 2018. The show explores the changing design field of videogames and runs from 08 September 2018 to 24 February 2019. EPA/NEIL HALL

Una Pubblica Amministrazione agile, veloce ed efficiente, significa prima di tutto una
struttura che ha una cultura “customer centric”, accoppiata a processi totalmente
digitali.
È il sogno di tutti non essere frustrati quando ci si rapporta con gli uffici pubblici,
senza doversi recare fisicamente allo sportello, elaborando qualsiasi genere di
richiesta dal proprio smartphone, anche le più complesse; questo permetterebbe a
cittadini ed imprese di risparmiare molto tempo nella gestione della burocrazia.
Questa impostazione infatti, oltre che tecnologica è culturale ed è un fattore
abilitante per la crescita e lo sviluppo economico, derivante da incrementi della
produttività non trascurabili e dovuti anche alla maggior attrattività e competitività del
sistema paese.
A parole tutta la classe politica è concorde sul fatto che la transizione digitale sia una
priorità, nei fatti però, questa priorità non è percepita né tantomeno applicata.
È evidente la necessità di questa nuova impostazione da parte dell’utenza ed è
facile immaginare i benefici per l’intero sistema paese.
Se avviamo una semplice attività di benchmarking, confrontando il nostro sistema
con quello degli altri paesi, l’enorme gap è più che evidente. Ci troviamo in una
arretratezza strutturale, dovuta ad una serie di variabili, che stanno avviando alla
necrosi l’intero paese.
La trasformazione digitale sarà un percorso fondamentale per la Repubblica di San
Marino. Non si tratterà di effettuare qualche ritocco cosmetico a qualche interfaccia
utente obsoleta, si tratterà invece di ripensare da zero tutti i processi, mettendo al
centro l’utente, includendo prima di tutto un radicale cambiamento culturale
nell’assetto della macchina pubblica.
Quindi come mai non è stato fatto nulla a riguardo?
Sicuramente la miopia del management pubblico unita alla mancanza di visione
politica, hanno contribuito allo stallo, ma la verità è che una PA digitale ed efficiente
ha bisogno di meno dipendenti. Quindi come ci comportiamo?
La risposta più logica sarebbe quella di destinare il personale in esubero in altre
attività e formarli per l’acquisizione di nuove competenze.
Anche se la risposta sembra semplice, in realtà racchiude numerose insidie, la più
importante denominata “resistenza al cambiamento”.
Il problema della improduttività della PA analogica è sotto gli occhi di tutti, ma in
futuro, la questione del soprannumero dell’organico dovrà essere irrimediabilmente
affrontato.
Le misure necessarie per colmare il gap che ci separa dagli altri paesi e per portarci
su un percorso di crescita sostenibile non possono limitarsi a pochi accorgimenti di
facciata, ma devono costituire una sostanziale discontinuità rispetto al passato.
Nella nostra piccola Repubblica è inimmaginabile che ai guadagni di efficienza
consentiti dalla digitalizzazione della PA corrisponda anche una riduzione dei
dipendenti pubblici, quindi è necessario gestire il processo di transizione in modo
intelligente e coraggioso e mantenerlo privo di interessi particolari, come
prepensionamenti, o di mantenimento di mansioni non più utili, affrontando anche la
parte di riallocazione e riqualificazione delle persone.
Non vorremmo che ci trovassimo tra qualche anno ad una completa digitalizzazione
della Pubblica Amministrazione, dove un numero di lavoratori invariato continua a
svolgere le stesse mansioni. Questo costituirebbe il paradosso da evitare.
Altra considerazione importante da sostenere, è la fatidica formazione dei cittadini.
Diffondere la cultura digitale dovrà essere una priorità, oltre che per lo Stato, anche
per le associazioni, imprese ed enti sul territorio che possono intercettare questa
esigenza, in modo da considerare la digitalizzazione come un’opportunità e non
come una minaccia. Sarà un investimento di risorse temporali ed economiche che
alimenterà un circolo virtuoso in cui sarà lo stesso sistema paese a guadagnarci.
L’Agenda Digitale dovrà essere il faro guida nella notte del paleolitico digitale in cui ci
troviamo, ma occorre saggezza ed intelligenza. La tecnologia non dovrà mai essere
confusa con il fine a se stante, ma un mezzo per raggiungere degli obiettivi comuni,
che abbiano come cornice di senso, l’innovazione e la soddisfazione dei bisogni
dell’utenza, senza tralasciare la compatibilità del nostro paese con gli standard
europei.

Fabio Andreini