Libri: “Nelle mani dell’amore” di Marco Candida

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Vi è mai capitato di leggere un romanzo come se fosse una pala d’altare?

La pala d’altare, come le opere religiose su commissione, descrivono la società del tempo.  Aprono uno squarcio sul passato. Un fermo immagine che racconta una storia, una storia da appendere al muro.

L’opera letteraria di Marco Candida dal titolo “Nelle mani dell’amore” Edizione Effige, ha due motivi per piacere: l’autobiografismo senza piagnistei di sorta e l’uso di aggettivi colorati, sparsi come coriandoli sulla strada dopo una sfilata. Lucciole di luce a illuminare il buio.

Personalmente non faccio differenza tra leggere un libro e pagare il biglietto per un vernissage. Entrambi trasportano la vita dell’autore attraverso l’azione del simbolo, scrittura o segno; entrambi narrano come un quadro appeso alla parete. D’altronde le copertine dei libri non sono colorate? E loro, i libri, non sono conservati in scaffali come quadri in esposizione?

L’opera di Candida è innegabilmente scaturita dalla penna-pennello dell’autore. E nel cassetto degli attrezzi, pennelli, colori, linee e visione, vi sono tutti. E da lettori, scoviamo fraseggi che vanno dal grigio racconto di una provincia italiana, cristallizzata d’immobilità angosciante, all’infinito di un pomeriggio di sole che guarda caso, sembra inciso nel mito della frontiera americana. Nella profonda provincia del Minnesota, dove l’autore ha vissuto per alcuni anni, con cieli che paiono superare la realtà da quanto sono dipinti bene. E d’inverno il bianco della neve sembra più bianco della neve di casa nostra.

É l’America, miraggio di ogni sogno possibile, per di più se si è uno scrittore. Marco Candida è fuori di dubbio uno scrittore. E questo, oltre al fatto di aver vissuto in America con la fidanzata, lo rende un provinciale italiano seducente per tutta quella gioventù perduta di amici che continuano ad annaspare tra il chiaroscuro dei giorni di una città qual è Tortona. Abbaglia la descrizione di Alessandria: “Alessandria ristagna – è ferma, immobile. Del resto Alessandria è il capoluogo della provincia. In un capoluogo di provincia ogni caratteristica tipica della provincia – come la voglia di restare e di andare, la voglia di non strafare che si trasforma nella voglia di non fare – si moltiplica e ingrandisce”. L’attenzione poetica è struggente nel descrivere i negozi chiusi: “stavo per paragonare un negozio fallito a un buco nero, ma un negozio fallito ha un aspetto anche peggiore di un buco nero: è triste, malconcio. E poi un negozio con le serrande abbassate non attira un bel niente nella propria orbita”. Per Marco Candida in un negozio fallito non abitano neppure i fantasmi, solo acari e scarafaggi!

Tra la scelta di rimanere dentro il sogno e il ritorno a una vita ordinaria, il protagonista sceglie per causa di responsabilità: la madre deve sottoporsi ad un intervento al cuore. Ma forse anche per la mancanza di una integrazione sentita verso un continente che si apre a continue possibilità e, per questo, angosciante per la moltitudine di scelte, e senza, quindi, una via di fuga certa.

Il ritorno, che avrebbe dovuto essere temporaneo, si trasforma lentamente e inesorabile in un pantano, tra una relazione a distanza con la fidanzata americana e la provinciale fidanzata italiana. L’amore appare come la soluzione a tutto. Un balsamo ristoratore levigante di bellezza. Quando in realtà non è così. Perché vergognarsi? Non ci convinciamo tutti che quello che stavamo cercando era nascosto dietro l’angolo e non altrove? In questo caso l’America e il sogno di farne parte.

Esilarante come Candida descriva l’abbigliamento dei protagonisti, vero e proprio contrappasso di personalità più o meno celata. La disperazione di una generazione immobile e fottuta quella dei quarantenni/cinquantenni che vedono svanire i sogni giovani. Eppure allora tutto sembrava color dell’oro. Ma il peggiore viraggio di colore a cui il protagonista Candida deve fare i conti forse è che l’amore italiano, la giovane e affascinate femmina, aspirante poetessa, ancora in attesa di realizzare i suoi sogni, è la trappola. Sta qui forse la chiave della tragedia che il protagonista vede e sente avvicinarsi senza poterla fermare. In realtà Lui non fugge mai, precipita consapevolmente in un girone infernale di notti di pece alla ricerca forsennata dell’oggetto d’amore. Attraversando periferie di città in decadenza sino all’alba in un delirio lucido e divertito. L’aspirante poetessa uccide lentamente l’amore del protagonista, insieme all’illusione che un’altra vita è possibile, che la via di fuga nel continente americano, dove la speranza ha i colori dell’arcobaleno, lei non ha potuto nemmeno pensare di averla; e nel nero dello sconforto e dell’insuccesso personale, decide che anche lui debba condividere lo stesso destino fermo: rimane incinta! Non gli perdona di essere un creativo. L’ha frequentato per questo, e fa terra bruciata dentro di lui.

Straniero era Marco Candida quando viveva a Tortona e, in qualche modo, straniero era in America. Eppure è rapito dalla nostalgia, ma non si può sfuggire alle proprie radici se non ci si lava dal senso di colpa, in questo caso quello di essere uno scrittore, di aver letto e scritto ogni giorno della propria vita. È così difficile vivere della propria arte. “Scendi sulla terra, artista!” sembra gli urlino amici, parenti e conoscenti. La parola scritta non paga le bollette, la benzina per la macchina che porta al lavoro.  E con una vita in arrivo che abbaglia con le sue vertigini, ogni via di fuga è ormai preclusa.

Si chiude il romanzo di Marco Candida lasciando sgomenti, ma lucidi, vivi, e con l’urgenza, tutta personale, di citare il massimo scrittore americano che racchiude la grandezza dell’America e le sue più tetre tragedie: Philippe Roth che, in Everyman, di fronte alla fine di ogni cosa, dice: “Be’, così vanno le cose. È impossibile rifare la realtà, devi prendere le cose come vengono. Tener duro e prendere le cose come vengono. […] voltati indietro ed espia le colpe che puoi espiare, e con quello che ti resta tira avanti meglio che puoi”.

Per quanto mi riguarda, continua a scrivere Marco Candida, la tavolozza dei colori ti appartiene tutta.

Flora Tumminello

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