La cultura digitale stravolge l’economia

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La cultura digitale digitale promuove e migliora l’economia rivoluzionando il vecchio paradigma dell’industria tradizionale del secolo scorso. Nuove soluzioni business stravolgono gli scenari economici dove assistiamo a sostanziali cambiamenti. La cultura digitale coinvolge diversi asset economici come la produzione e il commercio al dettaglio. Le opportunità derivanti da questa rivoluzione, legate alla profonda trasformazione digitale in Europa e in Italia, sono le protagoniste indiscusse del XXI secolo. Con Roberto Saracco, direttore del Nodo italiano EIT Digital, cerchiamo di conoscere le diverse opportunità economiche relative proprio all’avvento del digitale.

Come trasformare il digitale nella grande scommessa economica?
Il digitale dematerializza gli atomi e con questo abbatte i costi di transazione (trasporto e stoccaggio sono in pratica a costo zero). Questo significa che diminuisce sostanzialmente la necessità di capitale e quindi si eliminano le barriere di ingresso al mercato. Singoli individui e piccole imprese possono accedere al mercato mondiale. Questo da un lato aumenta la possibilità di creare offerta, dall’altro incrementa la competizione. Gli oligopoli tendono a diventare ancora più grandi in termini di copertura di mercato ma, al tempo stesso, diminuiscono il loro spazio di offerta, in quanto parte di questo diventa terreno di battaglia tra i piccoli (esempio classico le App, ormai territorio incontrastato dei piccoli). L’esplosione dell’offerta prosegue di pari passo con una diminuzione dei prezzi (quindi del valore di mercato per singolo elemento di offerta). La crescita complessiva (vendite per prezzo) è soggetta alle regole macro-economiche complessive, quindi il digitale di per sé non aumenta la ricchezza, semplicemente accelera degli spostamenti tra i vari players. Al tempo stesso democratizza la ricchezza (aumento della offerta polverizzata con migliaia di nuovi player) e consolida gli oligopoli (chi è punto di aggregazione di un ecosistema e fattore abilitante).Si noti che il fatto che il digitale diminuisca i costi di transazione (quindi genera efficienza essendo i costi di transazione dei fattori di “spreco”) porta alla eliminazione di quei posti di lavoro che vivono sulla gestione delle inefficienze (i passacarte). Il problema, quindi, è complesso e spesso si fa finta di non vedere alcuni aspetti per enfatizzarne altri; come ad esempio la crescita dell’offerta (start up, nuovi mestieri) a spese della eliminazione di posti di lavoro o di valore di alcuni lavori (burocrazia). La trasformazione dell’economia attraverso il digitale richiede un lavoro a tutto campo. Occorre tenere presente che il digitale, proprio perché abbatte i costi di transazione, non ha confini nazionali/regionali, quindi porta a rapidi squilibri. Se una nazione sposa e spinge la trasformazione digitale diventa molto più competitiva di chi non lo fa e questo sposta la ricchezza da uno Stato all’altro in brevissimo tempo. Questo è il vero problema dell’Italia verso l’Europa e dell’Europa verso gli USA e alcuni Paesi asiatici.

Le aziende sono pronte a seguire questa rivoluzione?

Le aziende, in dipendenza dal settore in cui operano, sono obbligate a effettuare la transizione nel momento in cui i loro competitor lo fanno. Esiste tuttavia una finestra in cui farlo. C’è chi decide di guidare la trasformazione e chi decide di resistere e farla solo quando diventa obbligatoria per restare sul mercato. La Pubblica Amministrazione dovrebbe essere all’avanguardia (non lo siamo affatto) al suo interno e dovrebbe facilitare/spingere la trasformazione. Le aziende nuove nascono già con una matrice digitale. Le aziende consolidate sul mercato hanno maggiore difficoltà a iniziare e a effettuare la transizione. L’Italia ha moltissime aziende radicate nella economia classica che non vedono ancora la necessità di digitalizzarsi.

C’è un nuovo modo di acquistare? I consumatori sono consapevoli?

La diffusione del telefonino e l’ingresso nel mercato dell’acquisto delle giovani generazioni sta cambiando rapidamente il modo di acquistare. Comparare beni attraverso il web sta diventando sempre più usuale, sia prima dell’acquisto sia in tempo reale quando si vede un prodotto in un negozio. L’acquisto on line si è molto diffuso, anche se non siamo ai livelli US o UK a causa dei problemi della distribuzione (ti recapitano il pacco ma non sei a casa a riceverlo). Nei prossimi anni la rivoluzione sarà nel disaccoppiamento tra oggetto e prestazioni. Il primo sarà acquistato come oggi (in un negozio oppure on line) il secondo sarà acquistato come servizio just in time.

Quali settori economici saranno maggiormente interessati?

Tutti i settori sono potenzialmente interessati. Ne abbiamo visti alcuni in cui la digitalizzazione ha cambiato le regole del gioco (Uber, Airbnb, Kickstarter, Fon, BlueApron, TaskRabbit). Per altri la digitalizzazione non è ancora arrivata ma è alle porte (medicinali e salute, architettura e ingegneria, istruzione) per altri ancora sarà un terreno per la prossima decade (self driving car, digital industry, virtual tourism).

Le opportunità strategiche da mettere in campo a livello europeo?

L’Europa deve diventare veramente un mercato unico. Esistono ancora troppe barriere. Abbiamo, a fronte di un mercato analogo come dimensioni a quello USA, 150 operatori di telecomunicazioni contro i 12 in USA, abbiamo regole che frenano l’innovazione (prima chiedere i permessi e poi si procede, mentre in USA si va sul mercato e si risponde ad eventuali critiche). Una policy sull’utilizzo dei dati è fondamentale visto che la possibilità di utilizzare dati genera enorme valore. Molte aziende che saranno create nei prossimi anni avranno nei dati la loro materia prima. In questo settore la Pubblica Amministrazione può avere un ruolo davvero importante.

Francesco Fravolini

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