Il mondo digitale controlla le persone

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Il mondo digitale stravolge le vita delle persone cambiando abitudini e mettendo in serio pericolo la privacy. Se pensiamo che lo smartphone è divenuto l’ideale compagno nella vita quotidiana è facile pensare a come possa condizionare il quotidiano. Il mondo digitale stravolge il modus vivendi con quelle evidenti trasformazioni sociali che incidono sulla cultura di una popolazione. La tecnologia si conquista il podio diventando a pieno titolo la protagonista indiscussa del XXI secolo. I nuovi scenari sociali del mondo digitale delegano allo smartphone la risposta da trovare. Serve una buona cultura per discernere opportunamente quelle informazioni da leggere. Le avveniristiche performance della tecnologia dettano in maniera determinata la nuova filosofia di vita. Derrick de Kerckhove, direttore scientifico di Media Duemila e dell’Osservatorio TuttiMedia, sottolinea quei diversi aspetti del mondo digitale, denunciando la scarsa preparazione della scuola a questa nuova frontiera culturale.

Le frontiere della nuova civiltà digitale come influenzano la vita delle persone?

Si dovrebbe trovare una parola diversa da “civiltà” perché non il tempo di civis, della città ma della “condizione digitale” che non ha né posto né luogo. Non ha neanche frontiere, se escludiamo password e criptologia. Ed è tutta in tempo reale. La metà della giornata la passiamo a guardare un qualche schermo, a scambiare qualcosa, a mettersi, in più, a disposizione di tutti quanti. La verità è che occupiamo tre spazi, quello materiale, quello reale per il dire, il mentale per il nostro pensiero e il virtuale dove il materiale è assente, diviene solamente fonte di riferimenti. La domanda è: come gestire questa parte virtuale della nostra vita? Questo non s’insegna nella scuola e neppure nell’università. Siamo tutti più o meno autodidatti a proposito del mondo digitale.

Il progresso in che modo limita le libertà personali?

Totalmente. Nell’era della trasparenza che sta iniziando adesso non si tratta più di libertà, ma di coerenza sociale. Con la nostra tracciabilità sempre più grande e la voracità dei data analytics nel mondo dei Big Data, siamo stretti nella camicia di forza dell’informazione. Liberi sì, ma solo secondo comportamenti sorvegliabili da tutti. Questo è un futuro non tanto lontano. Una domanda è quanto tempo e quante guerre passeranno per arrivare a questo futuro? Un’altra è: che tipo di governo può essere considerato legittimo nella condizione digitale? Se la trasparenza del privato è a disposizione del potere, quella del politico è possibile?

Quali accorgimenti è utile adottare per assicurare la propria privacy?

C’è una parola inglese che risponde perfettamente a questa domanda: “Nel pubblico, comportati come se fossi in privato e nel privato come se fossi in pubblico”. “Privacy is over” diceva Mark Zuckerberg anni fa.

L’evoluzione è una ricchezza da gestire senza un’eccessiva enfatizzazione. Quanto influisce la conoscenza e la maturità delle persone che usano device quotidianamente nell’era digitale?

Siamo frantumati, fatti a pezzi dai social e da tutti i media. I nostri profili sono un tipo di patchwork di foto, memorabilia, corrispondenza, percorsi sulla rete e nella strada. Come ricostituirsi istantaneamente alla domanda? Questo è il problema fondamentale della memoria. La parola inglese remember contiene un messaggio che forse anche Marcel Proust non ha immaginato: l’inglese, molto preciso, vuol dire rimettere i membri insieme. I membri sono questi pezzi, “questi frammenti che oppongo contro le mie rovine” diceva T.S. Eliott. Frammenti che oggi non sono più dentro di noi ma sulla rete, perché ci si confida e si delega tutto quanto abbiamo da ricordare, stiamo perdendo la memoria a lungo termine. Non si tratta qui solo di fotografie e numeri di telefono, ma di tutta la memoria delle cose che normalmente si trovano nella mente per orientarsi nella vita.

Francesco Fravolini

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