Cosa ne sarà del conto Mazzini?

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San Marino. Il cosiddetto processo Mazzini ha fatto impallidire perfino il processo Long Drink, in qualche maniera considerato il primo vero maxi processo sammarinese. E, conoscendo le faccende locali, vien da dire: finirà come quello?

Al di là dei numeri, che hanno scatenato il classico clamore mediatico, c’è anche altro da considerare. E comunque: i 121 anni complessivi di galera, gli oltre 2 miliardi di sequestri, richiesti dal Procuratore del Fisco, hanno sicuramente un peso e un valore. Almeno per qualcuno dei 27 indagati, per qualcun altro, che era tranquillamente alla festa del 2 giugno dell’Ambasciatore d’Italia, forse un po’ meno.

Il conto Mazzini è il processo al sistema politico affaristico che ha imperversato negli ultimi trent’anni, e forse non è neppure del tutto finito. Un sistema che prevedeva la vendita di qualsiasi cosa: licenze, società, finanziarie, banche, varianti di PRG, ma anche ambasciate e soprattutto, voti. Nel famoso viaggio a Mosca, quando il 5 ottobre 2004 fu firmata una lettera di intenti “Per lo sviluppo sociale ed economico di San Marino” tra il Partito Democratico Cristiano Sammarinese, il Partito Socialista e la società Eurasia House International, addirittura registrata presso un notaio moscovita, in cui si progettava l’albergo di lusso, il casinò e quant’altro, la frase più incriminata, secondo noi, è quella in cui gli scriventi “si impegnano a cambiare le leggi di San Marino quando non fossero funzionali agli obiettivi delle parti”. Una dichiarazione che, a nostro avviso, è molto peggio della tangente intascata! E fu anche in quel caso una tangente assai sostanziosa per tutti i sammarinesi della delegazione.

Qui si innesta la nostra prima considerazione: tutti gli affari di quel periodo sono eticamente condannabili, ma esiste una profonda differenza tra chi vendeva prerogative di Stato per interessi personali e i businessman che sapevano muoversi tra le maglie del sistema. Il politico infatti aveva bisogno di tutta una serie di personaggi, professionisti e procacciatori di affari, in grado di trovare acquirenti danarosi in grado di pagare la tangente, spesso milionaria. Tra l’altro, la corruzione è reato penale solo per chi ricopre incarichi istituzionali. Altrimenti dovrebbero essere inquisiti stuoli di notai, avvocati, commercialisti e professionisti di ogni genere. In ogni caso, la tangente (che veniva mascherata da contributo al partito) veniva intascata dal politico, mentre il professionista riceveva una percentuale per l’intermediazione.

Il processo Mazzini, in questo senso, ha fatto le necessarie distinzioni?

Tra l’altro, se non andiamo errati e se non ricordiamo male, compare nella requisitoria del Procuratore un frase che non ha nessun significato giuridico: “colpevole di associazione politica”. Se esistesse davvero un reato siffatto, tutti quelli che hanno fatto, o fanno tuttora politica, dovrebbero essere indagati.

Ovviamente, il riciclaggio è un’altra questione, e qui non c’è distinzione di ruoli.

Un’altra considerazione è sull’aspetto economico. Qualcuno che si è divertito a fare i conti, ha calcolato mille miliardi di mazzette. Questa è la cifra che è stata sottratta al popolo sammarinese dalla politica.

Fa quindi sorridere la richiesta di 30 milioni avanzata dall’Avvocatura dello Stato e anche i 2 miliardi richiesti dalla Procura Fiscale. Sarà davvero difficile confiscare beni per l’ammontare vero della truffa consumata in trent’anni, che ha lasciato l’economia, il sistema bancario e tutto il Paese letteralmente in ginocchio.

Tra l’altro, corre voce che il Tribunale abbia liberato alcune somme già confiscate agli indagati per poter pagare gli avvocati, naturalmente dietro liberatoria che gli assistiti hanno sottoscritto, altrimenti rischiavano di rimanere senza copertura legale. È giusto, è legale, è normale tutto ciò? E che fine faranno i soldi portati nei paradisi fiscali, o investiti in proprietà immobiliari milionarie, fuori San Marino? È davvero possibile che di questo enorme fiume di denaro non sia rimasta alcuna traccia?

Un’ultima considerazione è proprio sul conto Mazzini, il famoso libretto aperto presso Banca Commerciale (poi acquisita da Asset). Quel libretto fu rifornito con la tangente pagata per la licenza bancaria chiesta da Lucio Amati, più qualcos’altro. In totale sei / sette milioni. Il processo invece parla di ben altre cifre, transazioni e libretti, quindi, in qualche maniera, il titolo è fuorviante. A meno che, come quando si usa la sineddoche, figura retorica che descrive una parte per il tutto, il termine voglia innescare un processo pschico linguistico attraverso cui si associano due concetti in qualche modo affini, ma che in realtà sono differenti.

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