“Riflessioni” di prof. Giancarlo Elia Valori – Dieci anni di guerra in Siria e la situazione attuale (I)

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“Riflessioni” di Prof. Giancarlo Elia Valori, Cavaliere del Lavoro, Honorable de l’Académie des Sciences de l’Institut de France, President of International World Group

a cura di Alberto Rino Chezzi

Sulla Siria concentreremo l’attenzione con più articoli, data l’importanza che il Paese riveste da secoli nelle relazioni internazionali.

Dieci anni fa in Siria è scoppiata una guerra civile. Qual’ è la particolarità di questo conflitto, cosa sta succedendo nel Paese ora, come e cosa vivono i siriani, e c’è una prospettiva di raggiungere la pace?

Il 15 marzo 2011 si svolse a Damasco una delle prime grandi proteste contro il regime di Bashar al-Assad. A quel punto, la forza della cosiddetta “primavera araba”, a remote control, metteva sul piatto la probabilità che un Bashar al-Assad – relativamente giovane (all’inizio della crisi aveva 45 anni, di cui undici presidente del Paese) – non rimanesse al potere. Tuttavia, la realtà si è rivelata in maniera diversa, data la tradizionale forza del laicismo arabo siriano, da tempo immemore – assieme ad Algeria, Egitto, Libano, Tunisia, Iraq e Libia d’allora – avversario del terrorismo islamista.

Di conseguenza, la guerra in Siria è diventata il conflitto più mortale del sec. XXI. Entro il 2021, il bilancio delle vittime ha raggiunto una cifra stimata di 600mila, diversi milioni di siriani sono diventati rifugiati. Dei conflitti della seconda metà del secolo scorso in termini di perdite, la guerra siriana è ancora superata dalla I Guerra del Golfo iraniano-irachena che dal 1980 al 1988 causò circa 700mila morti.

La migrazione dei rifugiati ha cambiato in modo significativo la situazione politica interna nei Paesi in cui sono stati costretti a cercare rifugio: in Turchia, Libano e Giordania, principalmente, e, poi, i Paesi dell’Unione europea: fra questi la Germania, oculatamente, si è appropriata dell’élite intellettuale dei profughi con l’Italia, al solito, a reggere il moccolo.

La Siria è diventata un territorio di aperta rivalità tra potenze mondiali e regionali: Russia, Iran, Turchia e Stati Uniti d’America tengono apertamente le loro truppe sul suo territorio; decine di Paesi sono coinvolti nella guerra attraverso vari gruppi paramilitari e politici che sostengono le varie fazioni.

Per dieci anni, il conflitto ha attraversato diverse fasi, dal 2013 al 2017, la Siria è diventata il territorio della creazione del primo “califfato” dal 3 marzo 1924, e la guerra civile, con la partecipazione di altri Paesi, è stata integrata da una guerra con terroristi – in principio sostenuti dai soliti noti – la cui permanenza in Siria ha apportato, non solo, migliaia di nuove vittime ma, anche, la distruzione di monumenti culturali di valore mondiale.

Un tempo uno dei Paesi di maggior successo della regione e faro del laicismo islamico – la Siria – è diventato un baricentro di estremisti politici e terroristi internazionali; un banco di prova nelle relazioni tra iraniani e israeliani, turchi e curdi, sciiti e sunniti, tra Mosca e Washington. Questa guerra ha descritto un quadro misto di conflitto.

La durata della guerra non è casuale ma del tutto naturale, fin dall’inizio, c’è stata una forte presenza di forze e attori esterni nel Paese, che ha predeterminato tutto.

Il 15 luglio 2011, il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) annunciò che considerava la situazione politica interna in Siria come guerra civile e richiedeva il rispetto del diritto umanitario internazionale nel Paese.

Il 29 luglio i ribelli avevano già un esercito finanziato dai soliti noti: ufficiali siriani sleali al regime, guidati dal colonnello Riyad Assad, annunciarono la formazione del sedicente Esercito Siriano Libero.

Nel conflitto, quasi fin dall’inizio, si sono manifestati gli interessi dei Paesi della regione e delle potenze mondiali. Nel 2014, i combattenti del gruppo terroristico dello Stato Islamico (ISIS) hanno iniziato a infiltrarsi dal vicino Iraq. Nell’autunno del 2015, i terroristi erano alle porte di Damasco.

Nel 2014 gli Stati Uniti, che guidavano la coalizione antiterrorismo, hanno iniziato a colpire le loro posizioni in Siria. Nell’ottobre 2015, la Russia ha iniziato la sua operazione antiterrorismo. Alla fine del 2017, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato la sconfitta dei terroristi e anche gli Stati Uniti d’America hanno riconosciuto la sconfitta dell’ISIS.

A quel punto, le forze militari del governo legittimo di Assad hanno iniziato a ripristinare il controllo sul territorio del Paese.

I tentativi di risolvere pacificamente il conflitto sono finora falliti. La base per l’accordo sono i principi adottati a Ginevra nel 2012: la creazione di un governo di transizione con la partecipazione di tutte le parti interessate, lo svolgimento delle elezioni presidenziali e parlamentari, la formazione di nuove autorità. Uno degli elementi dell’accordo dovrebbe essere l’adozione di una nuova Costituzione: il 30 ottobre 2019 , il Comitato costituzionale siriano ha iniziato i suoi lavori. Tuttavia, i suoi partecipanti (radunati a Ginevra) non hanno ancora iniziato a scrivere direttamente il nuovo testo, quindi le elezioni presidenziali (svoltesi il 26 maggio 2021) si sono tenute secondo la legislazione vigente, e hanno visto la vittoria di Bashar al-Assad col 95,19% dei voti, ossia 13.540.860 siriani (compresi i rifugiati all’estero), col loro voto hanno respinto i tentativi di chi, dall’estero, cercava di cambiare l’assetto politico del loro Paese.

Entro il decimo anniversario dall’inizio della guerra, la maggior parte del Paese è tornata sotto il controllo delle tradizionali istituzioni siriane.

Non dimentichiamo che nel luglio 2020 si sono avute le elezioni politiche, che hanno portato i seguenti 250 rappresentanti all’Assemblea del Popolo: Partito Socialista Arabo Ba’ath (transnazionale) 167 seggi, Indipendenti non allineati col governo siriano 50 s., Indipendenti allineati col governo siriano 17 s., Partito dell’Unione Socialista Araba di Siria (nasseriani) 3 s., Partito Sociale Nazionalista Siriano (gransiriani) 3 s., Partito del Patto Nazionale (nazionalisti) 2 s., Partito Socialista Unionista (nasseriani di sinistra) 2 s., Partito Comunista Siriano-Bakdash (antirevisionista) 2 s., Partito Comunista Siriano-Unificato (gorbacioviani) 2 s., Partito dell’Unione Democratica Araba (nasseriani) 1 s., Partito Socialista Democratico Unionista (nasseriani) 1 s.

Però, attualmente, ampie aree del nord, lungo il confine con la Turchia, sono controllate da forze filo-turche: le tre operazioni militari di Ankara hanno permesso di creare una zona cuscinetto al confine. La Turchia sta costruendo ospedali e scuole di medicina, apre filiali di università e stacca dal suo territorio linee elettriche per rifornire la regione di elettricità (a un prezzo di 0,09 dollari per 1 kilowatt).

Lungo il confine più vicino all’Iraq, c’è la zona di responsabilità dei curdi, che storicamente vi abitano, ma si sono opposti ad Assad durante la guerra. Sono supportati dagli Stati Uniti d’America, che mantengono basi in Siria, compresa la protezione dei giacimenti petroliferi. In effetti, le aree controllate da Russia e Stati Uniti è più grande a causa del loro uso dell’aviazione-

Altre due zone restano sotto il controllo dai terroristi. A Idlib, Hayat Tahrir al-Sham (ex Jabhat al-Nusra) e l’ISIS. Le aree del sud-ovest (province di Deraa e Quneitra) sono controllate da diversi gruppi di opposizione armata riconciliatisi con il governo di Assad.

La Siria è sotto le sanzioni statunitensi dal dicembre 1979. Attualmente, insieme alla Siria, l’elenco statunitense dei Paesi che sponsorizzano il terrorismo include Cuba, Iran e Corea del Nord. Questi Paesi non possono ricevere assistenza finanziaria dagli Stati Uniti d’America, sono, inoltre, soggetti al divieto di esportazione di beni a duplice uso, nonché a restrizioni finanziarie. Successivamente, Washington ha imposto ulteriori restrizioni, che sono state inasprite dopo lo scoppio della guerra nel 2011. L’Office of Foreign Assets Control (OFAC) ha minacciato restrizioni su individui e organizzazioni che forniscono assistenza finanziaria al governo siriano.

Tuttavia, prima dello scoppio della guerra, la Siria era uno dei Paesi più ricchi della regione. Nel periodo dal 2011 al 2018, il PIL annuo del Paese è diminuito di quasi due terzi, da $ 55 miliardi a $ 20 miliardi. La vita dell’80% dei siriani durante gli anni della guerra è scesa al di sotto della soglia di povertà e la durata media di esistenza si è ridotta di vent’anni. Il Paese soffre di una carenza di medici e infermieri, insegnanti, tecnici, dipendenti pubblici qualificati

Negli anni della guerra si sono formati centri di influenza e strutture ombra che non erano interessati alla transizione verso uno sviluppo pacifico, sebbene nella società siriana, negli ambienti economici dei settori dell’economia reale e tra alcuni funzionari pubblici, una richiesta di riforme politiche è stato formato, ma in un’atmosfera di paura costante, il dialogo non pare aprirsi.

Quest’anno può essere uno dei più difficili per la Siria: quest’anno il budget è inferiore rispetto a tutti gli anni del conflitto. In lire siriane, il suo volume è aumentato, ma è di soli 3,36 miliardi di dollari, il 10% in meno rispetto all’anno precedente. I problemi principali sono: il deprezzamento della lira siriana (prima del conflitto, il cambio era di 45 lire siriane per un dollaro, quest’anno ha raggiunto un minimo storico – 1.257,86 lire per un dollaro – e sul mercato nero può raggiungere le quattromila lire); l’aumento dei prezzi dei generi alimentari (per molti prodotti i prezzi sono raddoppiati); la mancanza di petrolio e gas.

Il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite stima che il 60% dei siriani (circa 12,4 milioni di persone) sia a rischio fame. Ad esempio, un venditore di ortaggi a Damasco con una famiglia di nove figli guadagna cinque dollari al giorno, due dei suoi figli non vanno a scuola perché non può permettersi di pagarla, uno dei figli parte per la Germania e cerca di sostenerli, un altro figlio passa dalle tre alle cinque ore al giorno in fila per il pane, i cui prezzi sono sovvenzionati dallo Stato. Senza il sussidio, sei pani costano 0,35 dollari: sei volte il prezzo del pane statale. Tuttavia, a causa della scarsità di farina, molte panetterie sovvenzionate dallo Stato operano a intermittenza. (1. continua)

Giancarlo Elia Valori