San Marino in Europa? Sì, no, non lo so!

L’aquis comunitario, il fiscal compact, le quattro libertà e le remore sovraniste. A giugno, la parafatura di un accordo il cui testo ancora non è noto, ma sul quale i cittadini dovranno dire la loro

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Sono in molti ad essere convinti che San Marino abbia fatto un negoziato da perdente. Ma l’Europa è lì, che bussa alla porta e non si può più fare finta di niente. Con un ritardo di almeno trent’anni, ora la decisione va presa. Il problema vero è che nessuno conosce il testo dell’accordo che dovrà essere parafato a giugno. E la parafatura è una specie di promessa di nozze, una sorta di “compromesso edilizio” come quando si deve acquistare una casa. Insomma, una strada da cui non si torna indietro, se non pagando penali molto alte.

A segnare la strada c’è la relazione Aguilar, molto ben fatta e votata a stragrande maggioranza dal Parlamento Europeo. Ci sono indicazioni di massima, come il rispetto delle tradizioni e delle specificità dei piccoli Stati, ma anche indirizzi vincolanti quali il massimo coinvolgimento della popolazione e la collaborazione degli Stati confinanti. Che per San Marino è solo l’Italia. Quindi? Potremo mai andare in Europa senza il supporto del nostro vicino di casa?

Soffermarsi solo sugli aspetti sovranisti, come sono tentati di fare in molti, è assolutamente riduttivo e improprio perché anche la sola acquisizione dei12.000/13.000 atti normativi che c’è l’obbligo di introdurre nel nostro ordinamento giuridico, significa dover rivedere tutto il sistema giudiziario.

Quali saranno gli effetti della libera concorrenza senza un aumento di professionalità e competenze? Già la legge di sviluppo n.55/18 ha prodotto il massimo storico delle assunzioni di frontalieri. Altrettanto potrebbe succedere per le libere professioni, il commercio, l’industria, eccetera. Ad esempio: dei circa 200 avvocati operanti a San Marino, solo i 2/3 hanno l’abilitazione esterna.

E poi c’è l’IVA: siamo pronti ad un nuovo sistema di imposizione indiretta? Le imprese lo invocano da tempo, ma per le altre categorie sarebbe una penalizzazione. I sindacati non lo vogliono e neppure i consumatori. Abbiamo un quadro esatto delle possibili conseguenze? Poi c’è il “fiscal compact”, cioè il “Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance” dell’Unione Europea firmato da 25 paesi il 2 marzo 2012. Formalmente si tratta di un accordo europeo che prevede una serie di norme comuni e vincoli di natura economica che hanno come obbiettivo il contenimento del debito pubblico nazionale di ciascun paese. Sostanzialmente è diventato il sinonimo dell’austerità. Il calo della crescita e l’aumento del debito pubblico hanno portato a San Marino un rapporto debito/Pil che sfiora il 60 per cento. Siamo cioè al livello di certi Paesi africani. Quindi?

Non parliamo delle banche, perché si potrebbe scrivere un libro… È vero che l’accordo prevede la possibilità di finanziamenti europei sulla base di progetti motivati. Ma coi debiti che ci sono, la raccolta in calo, gli NPL, le agenzie e i dipendenti in sovra numero, le querele e le contro querele, le tante scelte sbagliate in materia finanziaria effettuate finora, la strada appare molto lunga e tortuosa.

È chiaro che di fronte ad obiettivi importanti come quelli europei, la strada la si può trovare. Se si vuole. Basterebbe cominciare dal rispetto del vincolo della “non segretezza” imposto dalla stessa Europa, che chiede la massima divulgazione e conoscenza degli aspetti del trattato. Purtroppo, non si conoscono affatto i termini dell’accordo, delle eventuali deroghe, dei tempi di applicazione, degli effetti sull’apparato pubblico e sul sistema economico. Quindi: va tutto bene, però non sappiamo nulla. Perciò, se si dovesse andare ad un nuovo referendum (il primo è stato bocciato), il risultato non appare per nulla scontato.

a.ve.

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