Quell’irresistibile voglia di guerra da salotto – di Francesco Chiari

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La prossima settimana il regime pandemico al quale ci siamo dovuti obbligatoriamente adeguare compirà due anni.
Tutti, chi più chi meno, abbiamo resistito nei nostri bunker casalinghi nel migliore dei casi o, i più sfortunati, in ospedale e abbiamo avuto modo di pensare, interrogandoci su come la nostra vita agiata e strafiga, almeno sui social, possa cambiare repentinamente per poi tornare alla normalità con grande fatica e sensibilmente rivoluzionata nelle sue consuetudini.
Ma questo è stato un saltuario esilio dorato in confronto a quanto subisce in queste ore la popolazione Ucraina e, mi vien da dire, in confronto a quanto subito negli ultimi anni fino ad oggi in tutte le guerre attualmente in atto in Burkina Faso (scontri tra etnici), Egitto (guerra contro militanti islamici ramo Stato Islamico), Libia (guerra civile in corso), Mali (scontri tra esercito e gruppi ribelli), Mozambico (scontri con ribelli), Nigeria (guerra contro i militanti islamici), Repubblica Centrafricana (spesso avvengono scontri armati tra musulmani e cristiani), Repubblica Democratica del Congo (guerra contro i gruppi ribelli), Somalia (guerra contro i militanti islamici di al-Shabaab), Sudan (guerra contro i gruppi ribelli nel Darfur), Sud Sudan (scontri con gruppi ribelli).
Ebbene sì, sono una ventina i conflitti dove anche stamattina, mentre io scrivo e voi forse leggerete, si spara e si muore.
Così pure il Covid ha colpito tutti questi popoli mentre erano già vessati dalla guerra.
Una volta compreso questo dato impressionante, non posso fare a meno di pensare che la grande attenzione verso l’Ucraina oggi e verso il Covid fino a due settimane fa sia dettata unicamente dall’interesse personale, che in questo caso diventa l’interesse sociale allargato.
D’altronde è evidente come l’istinto di ognuno di noi sia più quello di schierarsi nettamente che non quello di confrontarsi, di documentarsi, di mantenere la calma e di cercare in poche parole di rispettare la reciproca libertà.
Alla libertà, al rispetto e alla pace si preferisce la guerra, soprattutto quando si pensa di intravedere nettamente lo schieramento dei più forti.
Tale pulsione antropologica pare sia ugualmente valsa sia per il Covid che per la guerra, due brutti virus ormai diventati tristemente endemici.
E in tutto questo San Marino cosa fa?
Come in tutte le cose, anche per la globalizzazione ci sono fondalmentalmente due modi di affrontare la situazione.
Il primo è quello di farsi semplicemente fagocitare, allineandosi alla moda del momento e perdendo qualunque spunto di unicità, l’altro è quello di mettere a rendita e rendere utile il proprio valore di Stato sovrano, pur piccolo, pur ininfluente dal punto di vista dell’economia, il cui linguaggio, basato ormai unicamente sul bilancio e non più sul popolo, è di fatto diventato l’unico motivo che smuove l’ipocrisia dei governi travestiti da salvatori del mondo, anzi da salvatori di quel territorio abbastanza vicino da non poter essere trascurato, soprattutto se interessante dal punto di vista economico, in un’ ottica di bipolarismo mondiale.
E questa ipocrisia interessata, lo dico chiaramente, vale sia per la Russia che per l’Europa.
Ma tra l’ambiguità di stabilire cos’è nero e cosa è bianco, chi è buono e chi è cattivo, chi vince e chi soccombe, c’è l’intelligenza di chi è neutrale e può lucidamente dare il proprio contributo alla ricomposizione della pace, sia quella sociale che quella globale.
Questo è il ruolo a cui dovrebbe aspirare la più antica Repubblica del mondo, San Marino, dal 301 D.C. bandiera di democrazia e libertà.
Oggi invece siamo finiti di default e non per merito nella black list degli stati ostili stilata dalla Russia, rimanendo ancora una volta “noti a noi e ignoti agli altri” quando dovremmo invece aspirare ad essere “utili alla pace di tutti”.

Francesco Chiari