I cittadini hanno votato e la maggioranza ha deciso che vuole modificare l’attuale legge elettorale, introducendo un passaggio mediano fra primo e secondo turno in cui si possano costruire alleanze, e che vuole inserire l’orientamento sessuale fra le condizioni esplicite di non discriminazione all’interno della nostra dichiarazione dei diritti.
Il quesito di modifica costituzionale è passato con più del 70% dei consensi. Un risultato netto, all’interno del quale va comunque rilevata la posizione altalenante tenuta nella campagna referendaria dal PDCS, che nell’ultimo ha dato indicazione negativa ai propri elettori, dopo avere sostenuto l’esatto contrario in Consiglio Grande e Generale controfirmando, assieme a tutti gli altri, il progetto di legge che introduce nella nostra Dichiarazione dei Diritti l’esplicitazione di un concetto già ampiamente presente.
Sul quesito di modifica della legge elettorale il ragionamento non può che essere, invece, più complesso.
Come volevasi dimostrare la parola rappresentatività è sparita dalle dichiarazioni delle opposizioni post-voto. Le reazioni scomposte che diversi esponenti hanno avuto in TV e sui social, chiedendo immediatamente le dimissioni del governo, senza neppure guardare i numeri, certificano il fatto che a pochi di loro importava del contenuto del quesito, ma che in tanti hanno voluto ancora una volta strumentalizzare a scopi politici un dispositivo importantissimo di democrazia diretta come il referendum. Un tentativo venuto decisamente male.
La spallata che qualcuno sperava, infatti, non è arrivata. Il 40% di NO rende controproducente il tentativo – sbagliato – di leggere politicamente la volontà dei cittadini su un quesito specifico non legato ad azioni di questa maggioranza. Facendolo si certificherebbe infatti automaticamente che la maggioranza avrebbe guadagnato quasi un 10% dei consensi in due anni e mezzo di legislatura, peraltro molto difficili. Noi per primi crediamo sia una visione distorta e poco rispettosa della volontà popolare.
Questo risultato, unito al calo dell’affluenza rispetto alla tornata del 2016, dovrebbe obbligare tutti ad interrogarsi sul pezzo, ragionando ora sul modo migliore per attuare la volontà espressa nelle urne, evitando di ricadere con tutti e due i piedi nel turbinio di governi balneari costruiti a tavolino che si avvicendavano fino all’introduzione dell’attuale normativa.
Ma se proprio si vuole dare un significato che vada oltre al mero dettato del quesito, probabilmente lo si deve andare a ricercare nel fatto che chi ha votato per inserire nella nostra legge elettorale un passaggio in cui le forze politiche sono chiamate a dialogare per costruire un governo, probabilmente sta chiedendo a tutte le forze politiche che si superi questa fase di scontro totale a cui stiamo tutti assistendo dall’inizio di questa legislatura.
Inutile ricercarne le colpe, ognuno continuerebbe a portare il suo punto di vista, inconciliabile con quello dell’altra metà dell’aula. Da questo punto di vista meglio guardare avanti, prendendo esempio dai tentativi di dialogo che negli ultimi mesi ci sono stati fra le forze politiche, e che speriamo portino a breve i primi frutti sulla risoluzione delle crisi bancarie.
Il Paese, mai come ora, ha bisogno di una politica che torni a fare Politica, con la P maiuscola, ognuno nel suo ruolo ma con un unico grande obiettivo, quello di salvaguardare il Paese.
Comunicato Adesso.sm