Falsi ideali che alimentano il pregiudizio e giustificano le azioni

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Particolare della lettera «B» saldata sottosopra (Auschwitz I)

“Arbeit macht frei” (in tedesco Il lavoro rende liberi) era il motto posto all’ingresso di numerosi lager prima e durante la seconda guerra mondiale.
La scritta assunse nel tempo un forte significato simbolico, sintetizzando in modo beffardo le menzogne dei campi di concentramento, nei quali i lavori forzati, la condizione disumana di privazione dei prigionieri e solitamente il destino finale di morte contrastavano con il significato del motto stesso.
La frase è tratta dal titolo del romanzo del 1873 dello scrittore tedesco Lorenz Diefenbach e venne usata per la prima volta nel 1933 nel campo di concentramento che fu costruito a Dachau.
Solo nel 1940 la scritta venne utilizzata anche per Auschwitz, probabilmente per decisione del maggiore Rudolf Höß, primo comandante responsabile del campo di sterminio. I prigionieri che lasciavano il campo per recarsi al lavoro, o che vi rientravano, erano costretti a sfilare sotto il cancello d’entrata, a volte accompagnati dal suono di marce marziali eseguite da un’orchestra di deportati appositamente costituita;
Jan Liwacz, prigioniero polacco non ebreo numero 1010 entrato ad Auschwitz il 20 giugno del 1940, venne incaricato di forgiare la macabra scritta. Di professione fabbro, era a capo della Schlosserei, l’officina che fabbricava lampioni, inferriate e oggetti in metallo. Nel costruire la scritta, Liwacz decise di saldare la lettera «B» della parola Arbeit sottosopra, per indicare moralmente il proprio dissenso. Tale gesto di ribellione intellettuale assunse notorietà e un forte valore simbolico solo molti anni dopo, sino ad essere rappresentato in forma di statua nel 2014 di fronte alla sede del Parlamento europeo a Bruxelles. (tratto da Wikipedia)
Una storia nella storia, fatta di drammi sociali e personali dove la putredine di gesti eclatanti e immondi viene contrastata da sciami di piccoli, amorevoli gesti simbolici che nascono dall’intelletto nel suo più profondo e lucido stato di disperazione.
Ma i popoli, ancora oggi ammantati da anacronistici nazionalismi, sembrano non voler mai cogliere l’insegnamento che potrebbe derivare dal passato, anzi, nella loro leviatanica forma, tendono ad agire inconsapevolmente(?) come quel genitore che usa violenza sulla prole, sia essa fisica o psichica (non c’è limite al peggio), perché a sua volta ne è stata/o vittima quando era figlia/o.
Il “nazionalismo”, ovvero l’amore per il senso d’appartenenza alla propria nazione, messo nelle mani del “popolo”, inteso come entità unica ha assunto sin dall’alba dei tempi una formula chimica esplosiva. Senso di prevaricazione e odio scaturito dalle prime dispute sono stati poi la scintilla che di volta in volta ha innescato la deflagrazione, per ragioni di espansione geopolitica su scala planetaria o per mera sopravvivenza di un’etnia troppo piccola per essere riconosciuta e dunque sfociata nel terrorismo organizzato.
Ma se fino alla seconda guerra mondiale gli interessi economici inseguivano quelli politici, dal cosiddetto “miracolo economico” in poi l’ordine si è drammaticamente invertito, azzerando di fatto e surclassando qualunque insegnamento le nazioni e i loro popoli potevano aver tratto dagli olocausti del passato.
Già, perché la parola “olocausto” significa sinteticamente “sacrificio totale” e coinvolge quindi tutti i popoli che ne sono stati vittima nel passato, basti pensare agli indiani d’America con oltre 100 milioni di morti e pochi milioni di superstiti annichiliti alla stregua di attrazione turistica per mano di conquistatori europei divenuti poi gli “americani”. Certamente però nell’immaginario collettivo l’olocausto viene ricondotto alla Shoah degli ebrei d’Europa, che in ebraico significa sinteticamente “distruzione”.
Nella Giornata della Memoria resto alla ricerca spasmodica di “B” rovesciate simbolicamente da parte di cittadini israeliani, non trovando risposta su quale sia il senso che oggi il popolo ebraico e la sua agognata nazione stanno dando all’eredità ricevuta, loro malgrado, della Shoah che altri non è se non la più famigerata tra tutti gli olocausti della storia.

Francesco Chiari