Altro che “SOLO SOLO”… Il gretto è sempre in ottima compagnia

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di Francesco Chiari

C’è chi definisce l’opera prima da regista di Luca Medici, in arte Checco Zalone, noiosa (i poveri nostalgici imperialisti) , chi geniale (i sedicenti intellettuali di sinistra) , chi resta interdetto (i riflessivi bipartisan, alias boe alla deriva) e chi invece assume più che altro il motivetto che richiama all’immigrato (per lo più i bambini) che già di per sé è un successo mediatico non da poco.

Tolo Tolo, che poi significa “solo solo” in uno stentato italo-africano, è un film davvero inaspettato perché non gioca in casa, non resta nella comfort zone dell’italietta caricaturale che ha fatto incassare ai 5 film del comico pugliese oltre 100 milioni di euro, con l’ultimo in ordine cronologico appena uscito e già campione d’incassi.

Questa volta Checco va ben oltre l’ironia grottesca omofoba, il gretto campanilismo nordico verso i terroni o il razzismo che camuffa la paura per ciò che non si conosce.

Questa volta il tentativo è molto più ambizioso e l’obbiettivo è quasi da psicanalisi sociale, cercando a mio parere di mettere in luce il vulnus di una questione esistenziale che ammorba una buona fetta della nostra società: la ricerca costante di un capro espiatorio che ci liberi dal male, dalla frustrazione, dall’insoddisfazione nel constatare la propria posizione sociale, non domandandosi mai cosa noi possiamo fare per il nostro paese e non viceversa, negando a se stessa e agli altri la propria incapacità ed inettitudine, sempre nella speranza di vincere la lotteria per smettere di lavorare o nella nascita di un figlio calciatore e mai scienziato. E questa maggioranza della società, nel perpetrare ostinatamente tale linea difensiva fallimentare arriva ad identificare negli immigrati la massima minaccia sociale.

L’obbiettivo che si pone il comico non è affatto semplice, infatti soprattutto nella prima parte del film la situazione appare paradossale e le battute alquanto forzate, a tratti imbarazzanti fino a rischiare di commuoversi verso la fine per poi essere di nuovo schiaffeggiati da quell’essere “cozzalone” che è Checco.

Ma in tutto il film non c’è il ben che minimo riferimento al trailer e alla canzone che per oltre un mese hanno creato la grande attesa di tanti italiani ridanciani, altro vero colpo di genio: Luca Medici infatti ci ha attirati tutti al cinema per poi lasciarci di stucco!

Il finale è a mio avviso il vero coupe de theatre dove il regista-protagonista, nei panni di un fantomatico direttore di parco giochi safari sulle note di un musical disneiano, spiega al popolo africano (e di riflesso a quello italiano) il perché “noi” siamo nati dalla parte giusta del mondo mentre “loro” da quella sbagliata…non per superiorità razziale o per capacità politica, bensì per semplice casualità e benché nella vita il culo ci voglia non bisogna mai né darlo per scontato né rinnegare i più sfortunati, dato che le prossime generazioni potrebbero magari ritrovarsi a parti invertite.

Ma difficilmente il protagonista del film riuscirà ad assumere una simile consapevolezza, restando fedele al mantenimento del proprio aspetto fisico scolpito a dosi di acido ialuronico piuttosto che all’aspetto esistenziale di altri esseri umani.

 

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