Quelle sei banche italiane «sofferenti» ai piedi del Titano

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San Marino. Luca Davi e Marco Ferrando propongono un’inchiesta molto interessante sulla crisi che investe alcune banche italiane a pochi chilometri da San Marino. Attinenze, casualità, forse qualche corresponsabilità? Ognuno si faccia il suo giudizio.

Inchieste, banche commissariate, cda rimossi. E soprattutto, una montagna di crediti deteriorati che sta soffocando i bilanci di diverse banche del territorio. Sembra esserci quasi un filo rosso tra la crisi delle banche del Titano, oberate da 2 miliardi di Npl, e quella delle banche italiane che gravitano nelle province contigue a San Marino. Città come Rimini, Forlì o Cesena, luoghi caratterizzati da una delle concentrazione di sportelli bancari più alti d’Italia, dove nel corso degli ultimi anni, complice la crisi immobiliare e non solo, sono cadute una banca dietro l’altra, in un disastroso effetto domino.
Ogni caso fa storia a sé, in alcuni casi i legami con la Rocca sono più evidenti di altri, ma in tutti i casi gli anni di mala gestio – insieme alla crisi economica, che qui più che nel resto d’Italia ha messo alle corde l’immobiliare e fatto svalutare i valori delle garanzie – hanno finito per presentare il conto al capitolo crediti, sempre più deteriorati: è così che sono deflagrate queste crisi, è in questa stessa direzione che sembra instradato il piccolo ma affollato sistema bancario sanmarinese.
L’elengo è lungo. E va da piccole Bcc di una manciata di sportelli a gruppi più strutturati, che scendono lungo la dorsale adriatica come è Banca Marche. Gli ex vertici della banca adriatica, che oggi è sotto l’ombrello di Ubi, sono coinvolti in un doppio crac di due aziende “sorelle” di San Marino, la Make e la Titan Bagno, mentre l’ex potente dg, Massimo Bianconi, è stato rinviato a giudizio l’accusa di corruzione tra privati.
Altrettanto grave, sotto il profilo della governance, è il caso del Credito di Romagna, istituto su cui Banca d’Italia nel 2016 ha esercitato il potere di “removal”, ovvero di rimuovere i vertici. All’epoca la banca forlivese era finita nel mirino di Palazzo Koch per non aver adempiuto alle reiterate richieste di discontinuità manageriale. Una decisione, questa, che prima è stata sospesa dal Tar salvo poi essere confermata a fine settembre 2016.
Da un primato (negativo) a un altro. A stabilirlo è stata una Bcc, ovvero Banca Romagna Cooperativa: la piccola banca di Cesena è stata infatti la prima banca italiana a vedere da vicino il bail-in, evitandolo per un soffio. A salvare l’istituto, che era finito in amministrazione straordinaria, è stato a fine 2015 il Fondo di garanzia delle Bcc, a cui è succeduto l’acquisto da parte della Banca Sviluppo.
Oggi le attenzioni della Vigilanza sono concentrate però anche su altre banche locali. Se per Cariferrara, dopo un lungo periodo di commissariamento, è oramai in dirittura d’arrivo la finalizzazione dell’acquisto di parte di Bper (manca solo l’ok di Atlante per la cartolarizzazione degli Npl), ancora non è chiaro il destino di Carim e Caricesena: la prima, ricapitalizzata dal braccio volontario del Fitd per 280 milioni, è sulla strada del turn around, la seconda attende un aumento da oltre 100 milioni e la ripulitura degli Npl per poi essere venduta al migliore offerente. All’orizzonte sembra esserci Cariparma-Credit Agricole, che però non avrebbe ancora formalizzato alcuna offerta vincolante.

Luca Davi
Marco Ferrando

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