Neni Rossini: la nostra idea di sviluppo

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San Marino. Neni Rossini, presidente ANIS. Desidero esprimere un caloroso benvenuto alle autorità presenti, ai rappresentanti delle altre associazioni datoriali, ai rappresentanti delle organizzazioni sindacali, ai gentili ospiti, ai colleghi imprenditori. In particolare a nome di tutta l’Associazione Nazionale dell’Industria Sammarinese ringrazio Emma Marcegaglia che ci onora oggi della sua partecipazione a questa nostra assemblea e le rinnovo il mio più caloroso benvenuto nella nostra Repubblica di San Marino.

Siamo un piccolo Paese, è vero, ma abbiamo una grande storia alle spalle, da cui traiamo forza e impulso per portare all’attenzione del mondo le nostre eccellenze. Anche in un contesto difficile come quello che stiamo vivendo, dove la competizione è fortissima e siamo ogni giorno in trincea a fronteggiare gli effetti delle crisi economiche globali e le continue tensioni che coinvolgono i mercati. E che fin troppo spesso arrivano all’improvviso, mosse anche da dinamiche politiche e sociali.

Stiamo navigando da molto tempo in acque tempestose ma la nostra Repubblica, seppur piccola e meno corazzata di altri, proprio per le sue innate caratteristiche di agilità e velocità, potrebbe riuscire a muoversi meglio in un contesto economico così dinamico e mutevole.

Ma non può farlo da sola! Anzi lavorando con grande determinazione alla costruzione di un sistema di relazioni significative e sinergiche attraverso cui rafforzare la propria posizione. Non è un paradosso – come i sammarinesi ben sanno – che la nostra indipendenza di Stato dipenda anche e soprattutto dal riconoscimento e dal contributo di altri stati. D’altra parte la nostra Repubblica ha avuto successo nella storia perché è vissuta nella considerazione degli altri stati.

Il nostro partner naturale e principale è da sempre l’Italia. Non solo per ragioni commerciali, ma perché la nostra intera vita è strettamente intrecciata a quella della nostra vicina. È vero che le nostre imprese operano in tutti i mercati internazionali, ma il mercato italiano rappresenta la quota più rilevante dell’interscambio commerciale. Molte imprese italiane hanno investito a San Marino, così come molte aziende sammarinesi hanno stabilimenti in Italia.

Ogni giorno seimila lavoratori italiani salgono sul Monte Titano per contribuire a far crescere le imprese di questa Repubblica e molti nostri concittadini percorrono lo stesso tragitto in senso opposto.

Ma il legame più potente e più profondo che lega i nostri due Paesi è l’orgoglio di condividere cultura e storia – che poi si traducono nell’ingegno, nella creatività, e in tutto ciò che nel mondo viene elogiato come il “Made in Italy”, la grande bellezza!

Siamo altrettanto consapevoli che la nostra economia è agganciata a quella italiana, che oggi non è purtroppo una locomotiva.

Ma se i nostri colleghi italiani lamentano la lentezza della crescita, noi non possiamo certo gioire della nostra che è nell’ordine dell’1/1,5%. Le previsioni che ci riguardano, poi, sono di un rallentamento ulteriore, con l’aggravante di un debito pubblico che rischia di diventare insostenibile.

Fatte le dovute proporzioni, saremmo noi il fanalino di coda dell’Europa!

Il quadro non è incoraggiante, ma non possiamo permetterci di desistere. Anzi questo è il momento di dimostrare quanto valiamo, di gridare al mondo che, nonostante il quadro di San Marino sembri così sconfortante, tuttavia ha in sé il potenziale per capovolgere in positivo la sfavorevole congiuntura che sta attraversando.

Abbiamo una economia reale, fatta di aziende che occupano migliaia di dipendenti e che per restare competitive investono continuamente e generano fatturati importanti. Il Dottor Selva ci ha appena illustrato il rapporto su un campione significativo di aziende associate che, per dimensione del fatturato e numero di addetti, rappresentano efficacemente il valore del comparto manifatturiero sammarinese.

Approfitto per ringraziare tutte le aziende che ci hanno aiutato in questo progetto, condividendo i loro dati e rispondendo con diligenza ai questionari. Il loro aiuto ci ha permesso di sviluppare questo importante monitoraggio.

Dai dati proposti salta agli occhi che è questa economia reale a tenere in piedi il Paese!

Non solo: queste imprese crescono. E crescono non grazie al Paese, ma nonostante tutte le sue limitazioni e i suoi problemi.

Dall’analisi dei dati è facile capire dove sarebbe utile intervenire:

– abbiamo visto come le nostre aziende investono in risorse umane e come assumono ogni anno nuove competenze per svilupparsi, quindi ci aspettiamo che il mercato del lavoro e le politiche di sostegno al lavoro vadano in questa direzione;

– abbiamo constatato che più si investe in organizzazione interna, in formazione e in innovazione, più le aziende crescono. Va da sé che, se di vero sviluppo si vuole parlare, occorrono interventi volti a favorire questa tipologia di investimenti.

Altro tema saliente è l’utilizzo dei capitali: il più delle volte si tratta di capitali propri perché mai come oggi l’accesso al credito è stato tanto impervio. Non solo costoso ma anche non sempre disponibile. Questo non ha impedito alle nostre aziende di crescere comunque e di raggiungere livelli di redditività di tutto rispetto. Un esempio trainante della volontà, della passione e del coraggio degli imprenditori.

È bene ricordare però che i dati esposti si riferiscono al quadriennio fino al 2017, non al 2018. Anno in cui, come ben sappiamo, una nuova imposta patrimoniale straordinaria ha colpito il patrimonio netto delle nostre società. Patrimonio che, quando manca un sistema bancario efficiente, non è solo una garanzia di solidità dell’azienda ma rappresenta la sua unica prospettiva certa per finanziare i propri investimenti.

Vederla ulteriormente tassata potrebbe spingere gli imprenditori a scelte diverse, di minor capitalizzazione, con effetti negativi sui prossimi bilanci.

Speriamo che ciò non accada ma il rischio è alto.

Sviluppo significa anche che le imprese possano continuare a crescere. E per farlo debbono essere agevolate con nuovi strumenti normativi che non aggravino il peso ormai insostenibile della burocrazia. Occorre proseguire sulla strada delle riforme senza perdite di tempo, ma anche e soprattutto senza forzature.

Faccio solo due esempi a nostro avviso particolarmente significativi.

– Il primo riguarda il mercato del lavoro.

È noto a tutti come il mercato del lavoro sammarinese offra un ventaglio di competenze e professionalità abbastanza limitato nei numeri per ovvie ragioni mentre le imprese chiedono risposte più efficaci, e soprattutto più

tempestive, alle loro esigenze. Come dimostrano i nostri dati, gli imprenditori investono nei loro collaboratori perché accrescono la redditività delle loro imprese. Se l’aumento degli occupati è davvero un obiettivo comune che unisce trasversalmente lavoratori e imprenditori, istituzioni e sindacati, famiglie e imprese, chiediamo con forza che la politica sia propositiva e dialogante. Lo chiediamo perché non sempre abbiamo riscontrato questa apertura quando si è messa mano alla normativa di riferimento. La nuova normativa ha addirittura generato un sostanziale aumento del costo del lavoro del personale frontaliero, e ha mancato di ridurre i tempi di risposta per le assunzioni standard che era la nostra richiesta principale! Richiesta rimasta così totalmente disattesa.

Ma c’è di più, dopo l’aumento del costo del lavoro frontaliero decretato dalla nuova legge, ora addirittura si paventa un immotivato intervento sulla classificazione delle mansioni e delle competenze che, in tema di inquadramenti, potrebbe interferire o addirittura superare la contrattazione collettiva. La contrattazione collettiva è il baluardo delle relazioni industriali tra sindacati e associazioni datoriali, perciò ci auguriamo vivamente che non venga toccata. Siamo pronti a interpellare direttamente l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, l’ente più autorevole in materia, per avvalorare il principio della non ingerenza dello Stato nella contrattazione collettiva.

– L’altro esempio è l’introduzione di un sistema IVA.

Premesso che un sistema di imposizione sui consumi è quanto di più equo possa esistere, secondo l’assioma per cui chi più consuma più paga, la riforma delle imposte indirette dovrebbe essere il giusto completamento della riforma fiscale del 2013. Avere procrastinato fino ad oggi un salto di qualità atteso e condiviso, non solo ha penalizzato le imprese che esportano all’estero e in particolare in Europa, ma lo stesso Bilancio dello Stato, che avrebbe avuto un efficace strumento per riequilibrare i propri conti. Inoltre il perdurare della

monofase – sistema incomprensibile per clienti e fornitori – costa ogni anno punti di competitività.

L’IVA semplificherà l’interscambio, e potremo finalmente chiedere all’Unione Europea la cancellazione del T2 e l’inserimento delle nostre imprese nell’Intrastat. Ovviamente auspichiamo e caldeggiamo con forza che nella trattativa con l’Europa la parte sammarinese si prodighi soprattutto per garantire i più ampi margini di competitività, e per armonizzare il nuovo sistema alle dimensioni e alle potenzialità di San Marino.

In questo percorso verso l’Europa, contiamo di essere al più presto coinvolti in un confronto quanto mai vitale per l’interesse collettivo, per la definizione degli obiettivi e della strategia del Governo, di cui ad oggi non ci è stata data chiarezza.

Ma torniamo sul tema delle riforme.

Problemi ce ne sono ancora tanti e tante sono le proposte sul tavolo, tutte con l’unico, assillante comune denominatore: lo sviluppo economico, di cui lo sviluppo delle imprese sul territorio è il protagonista principale.

Possiamo parlare di classifiche mondiali, mercati, bilanci e anche di profitto. Possiamo magnificare prerogative e vantaggi, ma se manca la volontà politica anche la migliore riforma del mondo resterà solo un pezzo di carta.

Senza interventi decisi e risolutivi rischiamo di perdere competitività. E non possiamo permettercelo. Perché le riforme necessarie vengano completate al più presto, ci appelliamo a tutte le parti economiche e sociali del Paese e nuovamente a tutta la politica – di cui vedo in platea tantissimi esponenti ai quali va il mio grazie sincero per l’attenzione che hanno voluto riservarci.

Quali strategie adottare quindi? Innanzitutto non c’è un progetto complessivo per il Paese.

Da tempo – anni in verità – abbiamo avvertito i Governi che si sono succeduti dei cambiamenti in atto, fuori e dentro San Marino, stimolando il più ampio dibattito per ridisegnare lo sviluppo del Paese e giungere alla formulazione di un piano strategico. Dunque non mancherà il nostro appoggio all’idea di un Piano di Stabilità Nazionale e per lo Sviluppo in cui realizzare tutte le riforme. Ma perché questo possa risultare efficace, dovrà essere condiviso un metodo di lavoro nuovo, sicuramente diverso da quello che abbiamo visto – e subìto – fino ad oggi.

Per essere franchi abbiamo dovuto lottare perfino per il nome, ottenendo che venisse aggiunto anche quel “per lo Sviluppo”.

Peccato che l’unico sviluppo che possiamo leggervi al momento sia solo nel titolo. Perché, come più volte spiegato, in quel documento non si parla quasi mai esplicitamente di industria.

Nonostante sia dimostrato con la forza dei numeri quanto valore crei questo settore e quali e quante siano le sue necessità oggi. Nonostante sia un punto di forza del nostro sistema Paese, in grado di generare occupazione, reddito e gettito. Nonostante tutto questo l’industria viene relegata in qualche capitoletto generico.

Tutta la filosofia del progetto ruota attorno ad altro e il sistema finanziario fa la parte del leone.

Più volte ci siamo chiesti e abbiamo chiesto: se il traguardo è la stabilità, come si può pretendere di far sostenere il Paese da quella delle sue gambe che in questo momento è più debole?

Purtroppo, a fronte del continuo preoccupante calo della raccolta interna, ancora oggi registriamo l’assenza della necessaria profonda riorganizzazione del comparto bancario e di piani industriali per il futuro delle banche.

Da molti anni ANIS propone un tavolo di lavoro sul settore bancario, e quindi accogliamo l’iniziativa di ABS di un tavolo tecnico, con l’auspicio che tutti gli interlocutori si adoperino per restituire al comparto bancario e finanziario la forza per tornare a svolgere l’indispensabile ruolo di supporto alle imprese e alla società.

Tuttavia noi restiamo fermamente convinti che sia invece l’economia reale, che noi rappresentiamo ampiamente, a reggere l’economia del Paese oggi e che anzi è grazie a questa economia reale che la Repubblica di San Marino potrà costruire il suo futuro.

Per questo auspichiamo che il metodo di lavoro e il sistema delle relazioni fra la politica e il mondo dell’impresa cambi quanto prima. Qui serve un altro tavolo di coordinamento con tutte le parti sociali per individuare le priorità e condividere la responsabilità delle decisioni. È inutile girarci attorno: nessuno può tirarsi indietro e nessuno può continuare a difendere solo i propri interessi, bloccando di fatto le riforme. Ogni giorno di ritardo è un passo indietro che si infligge al Paese!

Al contrario, dobbiamo accelerare il processo di ammodernamento. Ci sono riforme certamente più complesse, per cui servirà più tempo, ma anche altre che a parità di impatto possono essere realizzate più velocemente e con meno fatica. Come ad esempio gli interventi per semplificare l’avvio e la vita delle imprese.

Le nostre aziende quotidianamente vanno alla ricerca delle best practice in tutto il mondo. E questo dobbiamo fare anche come sistema. Un’ottima agenda è il programma Doing Business della Banca Mondiale, che indaga le diverse fasi e gli adempimenti dell’avvio di un’impresa, mettendo in luce pregi e difetti di un Paese. I dati aggiornati sono usciti pochi giorni fa: c’è stato un miglioramento relativo, ma basta leggere la classifica generale per capire quanta strada ci sia ancora da fare. E – non me ne voglia la nostra illustre ospite – essere dietro all’Italia per burocrazia, tasse e avvio di un’impresa, è un dato che deve far riflettere. Ci sono Paesi, per dimensioni e potenzialità simili a San Marino, molto più avanti di noi. E questo, anche con un pizzico di dignità ferita, proprio non ci soddisfa, anzi, ci rattrista.

Non intendo semplificare un quadro complesso parlando ancora e sempre di burocrazia, ma è vero che mentre in tutto il mondo la si combatte strenuamente, a San Marino subiamo – non da oggi – un incomprensibile aumento di procedure, pratiche, autorizzazioni, certificazioni e rimandi a uffici ed enti pubblici.

La sburocratizzazione è un obiettivo che ANIS caldeggia ormai da decenni: affinché le imprese possano continuare a crescere è indispensabile liberarle dal giogo di una smisurata e troppo spesso irragionevole e incoerente burocrazia. Le imprese devono essere agevolate con nuovi strumenti normativi che interpretino, con capacità di sintesi e autoriflessione sulle procedure, le doverose funzioni di servizio della Amministrazione Pubblica tenendo conto che il tempo dell’impresa non è un’astrazione ma un fattore determinante del successo aziendale.

La parola d’ordine è “semplificazione”: ma intanto il peso della burocrazia giganteggia sulle nostre giornate, e non troviamo traccia delle semplificazioni promesse, con il rischio che imprese e cittadini vengano sempre più schiacciati.

Apprezziamo gli sforzi e l’impegno, in questi ultimi mesi, del gruppo di lavoro costituito ad hoc. Siamo fiduciosi che dal confronto avviato sulle proposte illustrateci – che condividiamo in larga parte – scaturiranno gli interventi necessari a improntare alla massima collaborazione il rapporto tra le imprese sammarinesi e la Pubblica Amministrazione.

Dobbiamo tutti fare un salto culturale: se le imprese sono ormai consapevoli che il mondo è completamente cambiato e per rimanere competitive sui mercati hanno dovuto cambiare a loro volta e migliorarsi, così la “macchina pubblica” deve rimettersi in gioco e diventare essa stessa un volano per l’economia. La Pubblica Amministrazione non deve solo diventare più efficiente e più competente, ma ha anche l’onere di dimostrare questa evoluzione: nei numeri, riducendo il peso della spesa corrente; e nel dare l’esempio di uno spirito di servizio che sta alla base di ogni funzione pubblica, assumendo quasi una funzione pedagogica, perché anche la PA – come tutto il sistema – deve recuperare fiducia da parte di cittadini e imprese. E lo può fare a partire proprio dalla semplificazione, una parola a cui si deve dare valore e concretezza con azioni quotidiane.

La nostra associazione esorta costantemente la politica in questa direzione, a costo di apparire ripetitiva. Abbiamo prodotto documenti, messo a disposizione le nostre competenze e risorse, individuato tematiche e strumenti innovativi, importato le best practice adottate da altri Paesi, illustrato il contesto delle dinamiche globali in cui le nostre imprese operano ogni giorno. Il nostro è uno impegno continuo, spesso non ripagato dall’attenzione che si meriterebbe, ma dal quale non possiamo e non vogliamo esimerci per la responsabilità che abbiamo, e che siamo consapevoli di avere, nei confronti del nostro Paese.

Nel settore pubblico, oltre alla semplificazione servono anche efficienza e ottimizzazione degli impieghi, miglioramenti incisivi mirati alla sensibile riduzione della spesa corrente per liberare le risorse da reinvestire nello sviluppo del Paese creando infrastrutture fisiche e immateriali, opere pubbliche e ammodernamento.

La spending review è sì un meccanismo di risparmio finanziario, ma anche un impulso all’evoluzione culturale della macchina pubblica verso una maggiore produttività e responsabilità.

Sono anni che se ne parla e ancora oggi non si vedono risultati tangibili. Nel frattempo, però, i sacrifici richiesti a imprese e cittadini sono sempre arrivati, puntuali, a ogni legge di bilancio. Le patrimoniali e la reintroduzione della minimum tax sono state portate all’incasso, ma gli interventi per lo sviluppo sono rimasti bloccati.

È passato un anno ormai dalla chiusura intempestiva del tavolo per la spending review. Ci aspettavamo un documento finale unitario sottoscritto dalla parte pubblica e dalla parte privata, che però non è arrivato. Questo gap ha suscitato una iniziativa inusuale: tutte le associazioni di categoria insieme hanno prodotto un documento collegiale con un ventaglio di proposte al Governo.

Nessuna di queste proposte è stata accolta!

Il Governo ha portato la discussione su un altro tavolo, coinvolgendo esclusivamente le organizzazioni sindacali e tutto è stato rimandato all’assestamento di bilancio. L’obiettivo era una riduzione del 2,5% della spesa corrente, poche settimane fa anche l’assestamento è stato votato ebbene… la spesa corrente anziché diminuire è aumentata di altri dieci milioni di euro.

Come possiamo condividere questa impostazione che dichiara una totale impotenza di fronte alla necessità di una maggiore sobrietà e di una gestione più oculata del settore pubblico?

Se per garantire più entrate ci si deve affidare solo a misure depressive dell’economia e dei consumi, il rischio è di innescare una spirale negativa da cui sarà sempre più difficile uscire.

Lo stesso rischio si corre nel rimandare continuamente riforme essenziali come quella delle pensioni. Il sistema previdenziale va riportato in equilibrio. L’urgenza della riforma è tale che era già prevista nel 2016, poi nel 2018… e ora nuovamente al 2019?

Perdere tempo significa accelerare l’esaurimento delle riserve pensionistiche e aggravare ancora di più l’intervento di riequilibrio del sistema. Se si fosse agito tempestivamente, oggi vedremmo già i primi effetti. Questo ritardo aggrava anche i conti pubblici e non ci mette in buona luce di fronte agli interlocutori esterni, che siano investitori privati, o peggio istituzioni straniere o organismi internazionali.

Ai tavoli internazionali occorre farsi trovare pronti e allineati ai migliori standard.

Questo gioverebbe moltissimo alla nostra reputazione, fattore intangibile ma decisivo per riacquisire attrattività all’esterno. Solo una buona reputazione genera la fiducia che attira investitori e imprese. Fiducia sempre più insidiata dallo spettro del debito pubblico, dal deficit in aumento e da un clima interno giunto ormai all’esasperazione.

Rinnoviamo il nostro invito a tutte le componenti della nostra comunità, e in particolare ai partiti e movimenti politici, compreso il Governo e i suoi rappresentanti, a trovare il dialogo imprescindibile per fare squadra verso il solo, unico e fondamentale obiettivo a cui dovremmo tutti aspirare: far uscire il Paese dalla crisi più profonda della sua era moderna.

I toni da guerra civile che si stanno alzando ormai in tutte le sedi sono quanto di peggio la politica possa esprimere, anche agli occhi di un osservatore esterno, o peggio ancora di un investitore. Il dibattito del Consiglio Grande e Generale talvolta si trasforma in un’arena in cui ogni frase offensiva ed esagerata, ogni concetto esasperato o drammatizzato, ascoltati da un pubblico non solo sammarinese ed estrapolati ad arte, rischiano di diventare titoli clamorosi sulla stampa nazionale di articoli che mettono in luce solo gli aspetti più negativi del nostro Paese.

Non è questo ciò di cui abbiamo bisogno. A maggior ragione oggi, in un momento così difficile, dove invece servono coesione, unità e condivisione. Perché le soluzioni che devono essere trovate, si possono costruire solo assieme. Perché di fronte all’enorme rischio di un indebitamento insostenibile che si tradurrà in cinquanta milioni di euro all’anno di tasse e sacrifici per cittadini e imprese, occorre costruire una soluzione alternativa, credibile e soprattutto sopportabile.

Affrontiamo adesso il tema rovente che ha monopolizzato il dibattito politico e l’attenzione dell’opinione pubblica negli ultimi due anni: la Cassa di Risparmio.

Certo è che la situazione è grave, sono state fatte scelte molto discusse perché considerate unilaterali, spesso affrettate e poco o per nulla condivise.

Scelte che hanno drenato le risorse dello Stato senza essere determinanti affinché i bilanci tornino in attivo. Stiamo parlando di cifre importanti tanto che le stime che sono state diffuse parlano di un aumento dell’indebitamento dello Stato dall’attuale 21% al 65%, ricorrendo all’indebitamento estero e all’emissione di titoli di Stato.

Per principio siamo contrari a indebitarci solo per pagare altri debiti. Se l’indebitamento non sostiene interventi per lo sviluppo e non include quindi una reale prospettiva di rientro, l’indebitamente non ha senso e l’enorme debito ricadrebbe sulle spalle delle imprese e dei cittadini. E ciò va assolutamente evitato. Oggi la Cassa di Risparmio è di proprietà dello Stato e il suo bilancio si riflette in quello statale. A maggior ragione tutti dovremmo essere coinvolti nella ricerca di soluzioni.

Non è questa la sede per individuare responsabilità, colpe o errori. Occorre invece trovare una soluzione politica! E questo è il momento di costruirla tutti assieme.

Come imprenditori siamo ottimisti per natura e confidiamo che tutti riescano a comprendere l’eccezionalità e l’urgenza di questo tema cruciale mettendosi a disposizione nell’interesse di tutta la nostra comunità.

Nel percorso di cambiamento e di riforme da affrontare, il Fondo Monetario Internazionale è un interlocutore fondamentale e, anzi, da anni stimoliamo i vari Governi a creare una collaborazione più serrata con i tecnici del Fondo per migliorare i nostri standard. Questo dovrebbe essere l’obiettivo principale, e non il prestito fine a sé stesso di cui tanto spesso si sente parlare. Non abbiamo infatti pregiudizi sui finanziamenti esterni, purché vincolati agli investimenti e purché il Paese sia opportunamente preparato a negoziarli presentandosi con tutte le carte in regola. Cosa su cui ancora siamo decisamente carenti visto che da anni i report annuali della delegazione del Fondo Monetario ripetono indicazioni che non sono mai state concretizzate. Serviranno certo strumenti e azioni più forti per portare avanti questa trattativa, così come sarà necessario sviluppare ancor più le relazioni diplomatiche internazionali, in particolare con l’Italia e l’Unione Europea.

Cogliamo quindi con favore l’iniziativa di avviare un tavolo con l’Italia per rivedere gli accordi in vigore, a iniziare da quello del ‘39 che focalizzava due realtà oggi totalmente superate. Gli scenari sono completamente cambiati, il nostro auspicio è che questa iniziativa venga condivisa con le parti sociali e con il resto del Paese.

Al tempo della convenzione di buon vicinato il settore manifatturiero contava pochissime realtà, mentre oggi, come si è visto nei dati, è il traino dell’economia. Ma è anche il settore che più di altri interagisce con l’Italia, con le sue normative e la sua burocrazia. Tanto per citare alcune questioni salienti: il cabotaggio e il trasporto rifiuti occupano da mesi la nostra agenda e solo nelle scorse settimane si è aperto un dialogo con Roma da cui attendiamo soluzioni quanto prima.

Lo stesso dicasi dell’Unione Europea, con la quale San Marino ha avviato le trattative per giungere a un accordo di associazione. Ribadiamo con forza la nostra posizione in favore di un eventuale accordo, che possa riconoscere le peculiarità della nostra Repubblica e ne persegua le reali necessità.

Lo diciamo perché crediamo fermamente nell’Europa, anche se oggi non va molto di moda dichiararsi europeisti. Noi lo siamo, nella misura in cui la consideriamo “l’Europa delle opportunità”, non certamente quella dei vincoli e dei burocrati. Opportunità per i cittadini e soprattutto per i giovani affinché possano avere le stesse possibilità dei loro coetanei italiani, spagnoli o tedeschi.

Prima ho accennato alla reputazione. Dobbiamo tutti avere bene a mente la grande reputazione che San Marino si è costruita nei secoli e sulla quale ha costruito una storia di libertà e di autogoverno.

La storia parla chiaro e narra di una volontà costante di essere liberi ma non estranei a ciò che sta attorno a noi, neutrali ma non indifferenti, sempre ispirati ai valori universali di accoglienza e libertà. Merci preziosissime e sempre più rare nel contesto internazionale, come credo potrà confermare la nostra ospite tra poco. Ed è proprio in questo solco che vorremmo procedere, mantenendo la nostra indipendenza senza mai più chiuderci in atteggiamenti protezionistici che, se sono stati parte del nostro passato, ora sono del tutto inconciliabili con il nostro presente e, a maggior ragione, con il nostro futuro.

Il rispetto per le persone è un principio che lega indissolubilmente il nostro Stato alle imprese e agli individui in un sistema valoriale che nobilita la nostra comunità, inclusi i seimila lavoratori frontalieri occupati nelle nostre realtà che contribuiscono con le loro competenze al benessere collettivo e alla crescita delle aziende, e che sostengono con le tasse e i contributi il nostro welfare.

La vicinanza con l’Italia offre questa e altre opportunità e San Marino, nella sua storia millenaria, ha saputo sempre coglierle sviluppando tante eccellenze imprenditoriali.

Mi piace però ricordare che San Marino non ha saputo solo cogliere le opportunità, ma anche offrirle, in alcuni frangenti con rara generosità e tempismo, rispondendo “presente!” quando qualcuno ha chiesto il suo aiuto. Sia che si chiamasse Giuseppe Garibaldi con la sua legione di giovani eroi del Risorgimento, sia che fossero i centomila rifugiati in fuga dagli orrori della guerra.

Siamo noi che costruiamo la nostra storia e le pagine che scriveremo dovranno essere all’altezza di quei momenti epici in cui San Marino, riscoprendo il senso più autentico della comunità, è stato grande per sé e per gli altri.

Di fronte a noi abbiamo una prova che sembra insuperabile, e questo è il momento di ritrovare quel senso di appartenenza. Per quanto ci riguarda, a noi imprenditori non mancano l’energia e la passione e all’appello anche noi rispondiamo “presenti!”.

 

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