Amarcord le Cirque Bidon

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Quello di Francois Bidon è un sogno e come tutti i sogni che nascono nel subconscio di un bambino si fonda su una congiuntura di dettagli impercettibili e disconnessi fra loro, se singolarmente presi, ma che diventano estremamente potenti quando si rimestano tutti insieme, cedendo così quella magia che li alimenta alla percezione dello spettatore, adulto o bimbo che esso sia. Ed è proprio ciò che si è verificato ieri sera al parco Marecchia di Rimini, che da grande spazio aperto si è trasformato per poco più di due ore nel luogo più intimo che la mia anima da stanco lavoratore del venerdì sera potesse trovare.

Sarà stata la temperatura perfetta in assenza di vento con le stelle a far sopra di noi e il Ponte di Tiberio alle nostre spalle; saranno state le carovane dove realmente gli artisti vivono che fanno anche da scenografia di questo Circo senza tendone e coi cavalli che pascolano liberamente dietro le quinte; sarà stata la piccola orchestra dove tutti gli artisti si alternano suonando e cantando per tutta la durata dello spettacolo, fatto sta che ieri sera mi sono ritrovato catapultato ne “Le Cirque Bidon” ed ho vissuto il sogno di questi ragazzi quasi fosse stato concepito dalla mia mente, da quanto l’ho trovato confortevole.

Lo spettacolo, dietro un’apparente semplicità, racchiude un’organizzazione ed un programma complessi e ben articolati, scandito delicatamente da arie tipicamente circensi con influenze gitane, che rifiniscono un’atmosfera poetica ed elegante. Poco conta se qualche clavetta o qualche pallina cade qua e là, se volete vedere numeri sensazionali eseguiti da super atleti guardate le olimpiadi, qui si viene conquistati dalla gestualità fintamente maldestra e dal volo rallentato di un corvo di cartapesta che si posa su uno spaventapasseri vivo.

Non ci sono clown mascherati che spruzzano acqua dal fiore all’occhiello, ma le gag si svolgono tra moglie e marito, con la solita suocera che crede di dettar legge e al momento dell’intervallo, che dura una ventina di minuti, quegli stessi artisti diventano baristi e ti servono birra e succo di mela fatti da loro. Se si pensa che questa formula miete successi da più di quarant’anni e si auto sostenta nella sua magnifica lentezza, son si può non essere accarezzati almeno per un istante dall’idea di unirsi a loro, alla ricerca di un senso della vita forse più giusto e pacato, quantomeno alternativo.

Ma non credo fosse per questo che Le Cirque Bidon piaceva tanto a Federico Fellini, da grande amante del circo qual’era. Credo piuttosto che si sentisse affine all’idea che quel microcosmo sociale che si riproduce all’interno di un circo sia una sublime visione onirica della realtà. Ma mentre il sogno di Bidon è inizialmente maldestro e si conclude in un inno alla vita e alla libertá, quello Felliniano trae la propria poesia dalla contrapposizione tra la vita reale del clown, definita “esistenza sgangherata” e la sua professione, tragicamente costretta a strappare risate ad un pubblico crudele.

Quindi non disturbatevi a tirare Francois o Federico per la giacchetta cercando similitudini che non ci sono, perché la sola cosa che li accomuna è l’unicità che contraddistingue i grandi sognatori dal resto del mondo.

Francesco Chiari – Aspirante Sognatore

Info e biglietteria: www.tuttimattipercolorno.it

 

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