Sant’Agata, un simbolo di incorruttibilità: oggi più attuale che mai

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Per un sammarinese laico come me, convinto che l’ora di religione dovrebbe essere sostituita dall’ora di filosofia è sempre un problema contestualizzare riti tribali come l’adorazione di reliquie trasportate per 2000 km da Catania a San Marino. Ma tant’è.
Già, perché lo scopo della filosofia di Socrate, Platone e Aristotele tramandava 500 anni prima della nascita delle religioni monoteiste i “sacramenti” del “buon cristiano”, non raccogliendoli in volumi di aneddoti, ma indicando la strada che ogni essere umano può intraprendere per costruire la propria felicità.
D’altronde le religioni monoteiste hanno rappresentato negli ultimi 2000 anni un formidabile strumento di ordine pubblico, organizzazione sociale e dominio geopolitico e poi, per quelli come me, hanno comunque lasciato un patrimonio artistico inestimabile che indubbiamente è in parte responsabile della formazione del concetto di bellezza che in me risiede, almeno nella sua più alta manifestazione rinascimentale.
Quindi di fronte al monopolio di fatto delle festività mi difendo ricercandone le ragioni storiche che in molti casi nulla hanno a che fare con le religioni, come in questo caso.
Che c’azzecca dunque una santa catanese con noi? Apparentemente nulla se non la coincidenza di essere spirata lo stesso giorno di 1500 anni prima della liberazione di San Marino dal dominio alberoniano per mano di un altro Cardinale, l’Enriquez. Il 5 febbraio del 1740, per l’appunto giorno dedicato dalla chiesa a Sant’Agata.
E invece mi sono incaponito nel voler ricondurre i fatti accaduti ad Agata presso Catania il 5 febbraio del 251 D.C. ad un messaggio di straordinaria rettitudine, devozione e amore universale, illuminante ancora oggi, soprattutto per noi sammarinesi.
Buona festa,
Francesco Chiari

Di seguito la storia di Agata martirizzata riportata da Wikipedia:

Nel periodo fra la fine del 250 e l’inizio del 251 il proconsole Quinziano, giunto alla sede di Catania anche con l’intento di far rispettare l’editto dell’imperatore Decio, che chiedeva a tutti i cristiani di abiurare pubblicamente la loro fede, mise in atto una feroce persecuzione. La tradizione riferisce che Agata fuggì con la famiglia a Palermo, alla Guilla, ma Quinziano li scovò e li fece tornare a Catania. Il punto che la giovane catanese attraversò per uscire da Palermo e tornare alla sua patria, oggi è detto Porta Sant’Agata. Quando la vide, Quinziano se ne invaghì e, saputo della consacrazione, le ordinò senza successo di ripudiare la sua fede e adorare gli dèi pagani. Si può ipotizzare anche un quadro più complesso: ovvero, dietro la condanna di Agata, la più esposta nella sua benestante famiglia, poteva esserci l’intento della confisca dei loro beni. Di certo, era un contesto storico estremamente drammatico per i cristiani: papa Fabiano era stato ucciso da più di un anno, la sede era vacante, e il successore Cornelio sarebbe stato eletto ben 14 mesi dopo il suo martirio.
Al rifiuto deciso di Agata, il proconsole l’affidò per un mese alla custodia rieducativa della cortigiana Afrodisia e delle sue figlie, persone molto corrotte. È possibile che Afrodisia fosse una sacerdotessa di Venere o Cerere, e pertanto dedita alla prostituzione sacra. Il fine di tale affidamento era la corruzione di Agata, attraverso una continua pressione psicologica, fatta di allettamenti e minacce, per sottometterla alle voglie di Quinziano, arrivando a tentare di trascinare la giovane catanese nei ritrovi dionisiaci. Ma Agata uscì più forte di prima, tanto da scoraggiare le sue tentatrici, le quali rinunciarono all’impegno assunto, riconsegnando Agata a Quinziano.
Rivelatosi inutile il tentativo di corromperne i principi, Quinziano diede avvio a un processo e convocò Agata al palazzo pretorio. La tradizione ha tramandato i dialoghi tra il proconsole e la santa, da cui si evince come ella fosse edotta in dialettica e retorica.
«Le sofferenze che mi infliggerai saranno di breve durata, e non attendo altro che sperimentarle perché così come il grano non può essere conservato in granaio se prima il suo guscio non viene aspramente stritolato e ridotto in frantumi, allo stesso modo la mia anima non potrà entrare in paradiso se prima non farai minutamente dilaniare il mio corpo dai tuoi carnefici» rispose Agata alle minacce di tortura del proconsole. Durante il processo Agata continuò augurando al proconsole di essere annoverato fra i suoi dèi: «Ti auguro che tu sia tale e quale fu il tuo dio Giove e tua moglie quale fu la tua dea Venere». Quinziano ne uscì umiliato.
Breve fu il passaggio dal processo al carcere e alle violenze con l’intento di piegare la giovinetta. Inizialmente fustigata, legata sull’eculeo e allungata con funi fino a slogarle le caviglie e i polsi e sottoposta al violento strappo delle mammelle con tenaglie. Le passioni di S. Agata riportano le parole che la martire disse al proconsole: «Empio, crudele e disumano tiranno. Non ti vergogni di strappare ad una donna quello che tu stesso succhiasti dalla madre tua?».
Venne infine sottoposta al supplizio dei carboni ardenti. A Catania, nella chiesa di San Biagio si conservano, nell’altare laterale della cappella di Sant’Agata, le pietre e la terra che secondo la tradizione tormentarono Agata il 5 febbraio 251 d.C. La notte seguente, il 5 febbraio 251, Agata spirò nella sua cella.
Una tradizione vuole che, negli anni della persecuzione di Decio, che ebbe inizio nel 249, la compatrona di Malta abbia soggiornato per un periodo in una cripta dell’isola, divenuta il centro di un culto secolare.

Francesco Chiari