Il Veneto di Zaia ha annunciato di voler fare «tamponi on the road» a tutti. Un tampone costa 30 euro

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Tamponi on the road: il Veneto capofila

«Che ci sia una circolazione del nuovo coronavirus superiore rispetto al numero dei pazienti positivi confermati è indubbio. La strategia di utilizzo dei tamponi merita un adeguato approfondimento del comitato tecnico scientifico». A sottolinearlo è Walter Ricciardi, membro del comitato esecutivo dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e consigliere del ministro della Salute per l’emergenza Covid-19. In Corea del Sud la popolazione poteva fare tamponi anche «on the road» in una sorta di postazione «stop and go» simile a quella che permette di ritirare il cibo dall’auto senza scendere nelle catene di fast food. È un’idea che ha accolto la Germania e sta per mettere in pista anche il Veneto: «Abbiamo fatto 29 mila tamponi, siamo la comunità che ne ha fatti di più per milione di abitanti, a livello mondiale la Corea, di cui tanto si parla, viene dopo i veneti per numero tamponi», dichiara il presidente della Regione, Luca Zaia. L’Assessore regionale alla Sanità, Manuela Lanzarin, ha appena annunciato la scelta di allargare lo spettro dell’esecuzione dei tamponi anche ai contatti occasionali, puntando così a isolare anche i positivi asintomatici, e ragionando anche sulla possibilità di concentrarsi su particolari categorie specifiche particolarmente esposte.

Un tampone costa 30 euro

La procedura del tampone consiste in un cotton fioc che raccoglie campioni dal rinofaringe (naso e gola): il costo è di circa 30 euro a tampone. A Vo’ (il focolaio veneto) il 95% della popolazione si è sottoposta volontariamente al test. «Ovunque ci siano focolai, bisognerebbe eseguire test di massa alla popolazione e tracciare i contatti dei positivi (più o meno stretti), quindi isolare tutti i contagiati, anche se asintomatici — ha affermato al Corriere Andrea Crisanti, docente di Microbiologia e virologia e direttore dell’Unità complessa diagnostica di microbiologia della Asl di Padova, che ha gestito con successo il «caso Vo’» —. Ci vuole un’azione aggressiva, altrimenti il virus continuerà a circolare. L’alternativa è la via cinese, tutto chiuso per 3 mesi senza eccezioni. In Lombardia — ha aggiunto — c’è molto sommerso, bisogna farlo emergere, trovare e isolare tutti i positivi e i relativi contatti, diretti e indiretti. Costi quel che costi: servono 5 milioni di tamponi? Che si prendano. La Lombardia ha le risorse per farcela, ma servono misure drastiche».

Se stai incubando puoi essere negativo

L’obienzione da una parte del mondo scientifico è che tracciare tutti senza una regola potrebbe disperdere energie e non servire a contare ogni infettato: si può essere negativi anche da contagiati, quando il virus è presente in maniera ancora «leggera» dentro di noi. Facendo tamponi solo in presenza di sintomi la probabilità di trovare i malati è alta, se invece faccio il tampone a qualcuno che sta incubando (in media ci vogliono 5 giorni), potrebbe essere negativo oggi ma positivo domani. Quindi c’è il rischio di «mettere in libertà» persone che invece dovrebbero stare isolate e di disperdere soldi e tempo. «Sconsigliamo questo tipo di approccio, non è utile – ha detto il ministro della Salute, Roberto Speranza -: il tampone non è sufficiente, è la fotografia di un istante. L’incubazione del virus dura 14 giorni, se la persona fa il tampone in uno di questi giorni ha solo l’illusione di aver risolto il problema. La soluzione è invece l’isolamento: solo così avremo certezza che non sarà positiva, altrimenti abbiamo l’illusione della negatività del momento, ma magari potrebbe essere positiva due giorni dopo».

Chi circola non sapendo di essere positivo

«Ma la tracciabilità si rivela fondamentale — sostiene Susanna Esposito, presidente WAidid (Associazione Mondiale delle Malattie Infettive e i Disordini Immunologici) e professore ordinario di Pediatria all’Università di Parma —. I positivi asintomatici o paucisintomatici (con lievi sintomi) continuano a mantenere alta la circolazione del virus e recenti dati pubblicati su The Lancet dimostrano come la mediana dell’eliminazione virale sia di 21 giorni. Ciò significa che una parte di positivi in Italia circola liberamente perché non sa di essere positiva e un’altra parte esce di casa ancora positiva dopo la quarantena domiciliare di 14 giorni perché nessuno controlla che il tampone si sia negativizzato. Ritengo sia corretto invitare la popolazione a stare a casa, ma non basta. È essenziale che ai contatti stretti di casi positivi sia effettuato il tampone per la ricerca di Covid-19, cosa che finora è avvenuta in un’assoluta minoranza di situazioni».

La via di mezzo

Nel dibattito entra anche la Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), secondo cui estendere l’esame del tampone a tutti i soggetti con sintomi respiratori potrebbe essere una misura decisiva per il rallentamento dei contagi. «Per affrontare quella che è ormai un’epidemia incontrollata su gran parte del territorio italiano sono necessari subito tamponi a tappeto per tutti i pazienti con un’affezione delle vie respiratorie, anche senza collegamenti con le zone più a rischio o con contagiati», ha affermato il presidente Simit Marcello Tavio. Fino ad oggi infatti, aggiunge Massimo Andreoni, direttore Scientifico Simit, «i tamponi sono stati limitati a persone sintomatiche che hanno avuto contatti con zone epidemiche o con persone contagiate. Riteniamo invece che in questa situazione tutte le persone che presentano sintomi di un’affezione delle vie respiratorie debbano esser valutate. Non farlo sarebbe un grave errore». La richiesta della Fimmg Lombardia: autorizzare i medici di medicina generale a fare i tamponi a domicilio ai pazienti con probabile polmonite interstiziale trattati a casa, visto il loro notevole aumento.

Corriere della Sera

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